PIF è Pierfrancesco Diliberto, palermitano, classe 1972. Il suo esordio cinematografico è un film dal titolo “La mafia uccide solo d’estate”, di cui è anche protagonista maschile. Volto delle IENE, fortunata trasmissione di Italia 1, PIF diventa regista quasi per caso. Al suo fianco sul set, tra gli altri, Cristiana Capotondi e Claudio Gioè.
Il film è un’autobiografia romanzata, ma non troppo, sul cui sfondo si muovono i personaggi degli ultimi quarant’anni della storia italiana, con Giulio Andreotti ombra di tutto e su tutto. E con un bambino perenemmente in crisi.
Arturo nasce a Palermo lo stesso giorno in cui Vito Ciancimino viene eletto sindaco. La prima parola che dice è “MAFIA”. La sua ingenua spontaneità si scontra con schemi collaudati, muri impossibili da abbattere, strutture incomprensibili ai non palermitani.
Arturo si innamora di Flora, e tutta la adolescenza viene spesa alla ricerca di questo grande amore, sospeso, mentre la storia va avanti col sangue, le lacrime e i silenzi.
Ma non sono silenzi omertosi, raccontano più l’indifferenza del quotidiano, troppi massacri massacrano la notizia del massacro.
Ma c’è di più, a voler leggere tra le righe, c’è la semplicità di raccontare la mafia senza enfatizzarla ma senza tacere. Arturo vuol fare il giornalista, vuole raccontare, vuole raccontarsi. Ci prova. A volte riesce, a volte deve accettare gli schemi imposti da qualche invisibile protagonista della storia.
Su tutti l’intervista al Generale Dalla Chiesa, lasciato solo, troppo solo, in quei tristemente noti 100 giorni a Palermo che nel 1984 Giuseppe Ferrara ha raccontato in maniera vivida ed esemplare.
Così come il film di Ferrara comincia con la ricostruzione dell’omicidio di Boris Giuliano, capo della squadra mobile ucciso il 21 luglio 1979, la stessa scena è un importante turning point del film di PIF, tra paste e proiettili.
Da vedere ancor più ed ancor prima che provare a raccontare su queste righe.
C’è un’amara ironia nel racconto della criminalità palermitana, cornice di una delle città più belle e maltrattate del mondo. C’è un fondo di denuncia ma non c’è un preciso attacco sociale ad un sistema che funziona più come pensiero da esportare che come associazione a delinquere. E quanto questo attacco è vago, tanto più giunge a segno.
C’è da sorridere, tanto. Ma, appunto sono sorrisi a dentri stretti. Restano gli applausi per un film riuscito che andrebbe proiettato nelle scuole italiane.
Luca Losito