Storie di famiglia è la storia di tante famiglie. Alcune le conosciamo alla perfezione.

La scena è divisa in due parti. Sulla sinistra lo scrittore, l’ideatore, il pensatore in senso astratto; nel suo piccolo studio una piccola scrivania e una piccola luce.

E’ la memoria personale, anche confusa, dell’autore, che poi diventa pagina viva sulla scena, grazie al consolidato Cesare Saliu, una certezza del teatro italiano.

Jean-Claude Penchenat cura la regia e la riscrittura scenica di vari testi di un altro Jean-Claude, che questa volta di cognome fa Grumberg.

Così la memoria personale diventa collettiva, viene restituita allo spettatore senza intento di giudizio nè richiesta di critica. La biografia di Grumberg è fatta di una storia che sarebbe troppo facile raccontare per intero per rendere con semplicità gli intenti dell’autore e la verità drammaturgica. Non amiamo le banalizzazioni di fronte al profondo rispetto ma invece proviamo a capire cosa accade in scena: lo scrittore a voce alta declama alcuni titoli, poi la scena si anima.

C’è da ridere, forse più da sorridere, ma amaramente. La scrittura di Grumberg è stata definita un miscuglio ben fatto di umorismo ebraico e linguaggio tra il fantastico e l’assurdo. Anche le sole parole lanciate nell’aria riecheggiano di fastidioso effimero: mamma infatti torna presto, povero orfanello.

Ci sono i racconti dell’infanzia, i sogni da sveglio e la difficoltà di andare avanti, di completarsi e individuare un proprio ruolo, più attivo di chi semplicemente mette sulla carta qualche riga.

Queste scenette, ma in senso alto, raggiungono il proprio apice comico drammatico nei turisti fai da te Marco Spiga e Isella Orchis. Una scena che potrebbe svolgersi dovunque e con chiunque. E nella quale chiunque si è specchiato.

C’è un altro momento molto forte, quello del litigio tra i personaggi portati sulla scena da Jacopo Zerbo e Alessandro Meringolo in un momento di grottesca incomprensione dove le vittime son sempre altri e deboli, sono fuori dalla scena del mondo, in questo caso una vecchia donna in una casa di riposo attinta dalla biografia di Grumberg.

Grumberg che, non dimentichiamolo, è lo sceneggiatore dell’Ultimo Metro di Truffaut. Jean-Claude Penchenat è invece il fondatore del Theatre Du Soleil e, volendo esplicitare una banalità illustrata, a Cagliari il sole non manca mai.

Mai come in questi testi l’arte è rappresentazione, è uno specchio impietoso e critico della realtà contemporanea. In una storia che sempre si ripete, dove i personaggi siamo noi. La differenza è solo nel fatto che il pubblico sta seduto in platea.

Luca Losito

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