La storia di Padre Paolo e dei migranti è esemplare. Come quella di Papa Francesco quando disse che al mondo c’è troppa gente che pettina i gatti, infiocchetta i cani e fornisce loro il miglior cibo senza rendersi conto di quanta gente vive in povertà.
Gli animalisti, quelli limitati mentalmente, insorsero. I puri di cuore compresero.
Ribadendo il concetto di Umberto Eco a proposito della parola data agli imbecilli tramite i social, questa volta la vittima è Padre Paolo Atzei, arcivescovo di Sassari. Non siamo qui per difendere lui, ma la verità.
La frase incriminata.
AIUTIAMO PRIMA I NOSTRI POVERI, POI I MIGRANTI, riportata e titolata su un giornale on line in cerca di consensi.
La nota curiosa è che mentre questo articolo invadeva la rete, Padre Paolo era in Aula Magna all’Università di Sassari, invitato al convegno dell’Unicef sui migranti dove, di fronte ad una buona metà della stampa sarda turritana e varie autorità, diceva ben altro, offriva parole di accoglienza, di pace, di comprensione per un fenomeno che deve partire dall’ospitalità e dalla carità, guardando ogni bisognoso con uguaglianza.
In realtà Padre Atzei, provocato su una domanda diretta, è caduto in trappola fin troppo ingenuamente.
Padre, è vero che a volte per questioni di convenienza e di moda si aiutano più i migranti che i vicini di casa?
Il fenomeno accade, come sappiamo, basti pensare alle tante cooperative che guadagnano dall’accoglienza.
Padre Paolo conferma, aggiungendo che il fenomeno esiste e che: “Carità e solidarietà vanno esercitate nei confronti di tutti senza guardare alla condizione personale, e non possiamo fare classifiche”.
Il secondo scivolone riguarda l’intervista, riportata da Luigi Soriga sulla Nuova Sardegna dove, anziché smentire categoricamente, Padre Paolo ribadisce il concetto, in tutta sincerità, ma si tratta delle stesse affermazioni a proposito delle quali era stato frainteso in precedenza. Occasione persa.
Qualche ora fa ha risposto, con un comunicato ufficiale, l’Ufficio diocesano per le Comunicazioni Sociali:
A proposito dell’intervista di Mons. Arcivescovo apparsa sul sito di riscattonazionale, riteniamo che non ci sia nulla da smentire sulla sostanza perché quelle parole rispondono al principio di prossimità pratica. Che comincia dalla propria persona e nella fede si proietta oltre i confini della propria casa, famiglia e Patria. San Tommaso afferma in merito: “Caritas incipit ab egone”. Ossia: la carità comincia dal proprio io. Questo non esclude ogni altro da noi, tanto più quando è in situazione di bisogno, compreso e abbracciato con amore cristiano, proprio grazie al virtuoso esercizio di carità con il primo prossimo di casa.
Il titolo dato all’intervista falsa il suo contenuto e crea dei pregiudizi e tendenziosamente offre una chiave di lettura impropria. Una applicazione provocatoria? Alzi la mano chi a Sassari pensa prima allo straniero e poi a se stesso. Non risulta che siano tante le famiglie che hanno accolto un migrante o rifugiato in casa propria. Fare comunicazione distorta è troppo facile, specie sulla pelle altrui, cercando un facile bersaglio chiunque capiti a tiro. Vivere invece coerentemente è un po’ più difficile. Chi può dire che la guida di questa diocesi non pensi e non si impegni concretamente a beneficio dei migranti? I fatti attestano chiaramente questo, con o senza la Caritas. Strano che nessuno abbia commentato o applicato in merito quanto è sotto gli occhi di tutti! Ma sono cose che capitano tutti i giorni nel piccolo mondo della nostra non eccelsa informazione. È capitato e capiterà ancora. E ciò a causa del non grande amore per la verità, piuttosto per un pezzo in più da scrivere e un quotidiano da acquistare.
Chiarissimo, per chi vuol capire. Ma la storia di Padre Paolo e dei migranti resta esemplare: esempio di un cattivo giornalismo che rimesta nel torbido ed elemosina un clic. Prendiamo le distanze, anche da chi continua a condividere e strumentalizzare parole mai dette facendo il gioco dei pessimi.
Luca Losito