In data 13 maggio il quotidiano LA NUOVA SARDEGNA ha pubblicato un articolo dal titolo

CHEMIO ADDIO GRAZIE A UN’IDEA SASSARESE

che ha immediatamente suscitato l’attenzione di una parte importante della comunità scientifica ma soprattutto alimentato nuove speranze in chi combatte personalmente contro i tumori, pazienti e medici in primis. La scoperta viene attribuita a una biochimica e ricercatrice del Dipartimento di Chimica e Farmacia dell’Università degli Studi di Sassari, Lucia Delogu. Su Facebook, qualche ora dopo, Barbara Giannico, medico ematologo, ha voluto precisare alcuni aspetti della notizia con queste parole:
“A proposito della scoperta del potere citotossico selettivo in vitro del nano grafene sui monociti della leucemia mielomonocitica (credo cronica). Forse sarebbe tempo di rendere onore vero e dignità assoluta al lavoro scientifico svolto, sfrondandolo di tutta la pubblicità fraudolenta, disinformante, eticamente scorretta e vergognosa, facendo una dichiarazione pubblica, chiara, inequivocabile, eticamente e scientificamente corretta, con cui spiegare con parole semplici per i non addetti ai lavori che:

1. La leucemia mielomonocitica è una malattia (come tutte le leucemie, acute e croniche) della cellula staminale ematopoietica (cosiddetta cellula madre, da cui derivano tutte le altre cellule del sangue) e non la malattia dei monociti. Pertanto, l’uccisione selettiva in vitro dei monociti (sani e malati), da parte di qualsivoglia molecola, non è garanzia che si traduca in uccisione selettiva in vivo della cellula staminale malata, da cui la leucemia suddetta deriva e da cui, se sopravvive, la leucemia recidiva, ritorna. Come dire che la tachipirina cura la polmonite batterica. No. La tachipirina mi può aiutare a controllare un sintomo della polmonite, quale la febbre. La polmonite, se sostenuta da una infezione batterica, sarà curata con terapia antibiotica. Pertanto, se mi curo solo con la tachipirina, forse la febbre mi passa, ma la polmonite mi resta. È chiaro, no?

2. Mediamente, la scoperta di una nuova molecola per la cura di un qualsivoglia malanno, impiega dieci anni o più prima di arrivare nella pratica clinica, se ci arriva. La prima tappa è la sperimentazione in vitro, poi si passa a quella in vivo sugli animali, poi -se i risultati sono promettenti- si propone il farmaco in sperimentazione clinica umana, poi, se si ha il benestare degli organi di controllo, si mettono a punto i protocolli clinici sperimentali, prima di fase 1, poi di fase 2, poi di fase 3 (gli unici, questi ultimi, che ti dicono per certo se la molecola funziona e in quale percentuale e con che effetti collaterali, ossia a quale prezzo, e in quale tipologia di pazienti e se è meglio, peggio o uguale ad altre molecole già note e utilizzate per quella stessa patologia, in quella fase di malattia, in quella specifica popolazione di pazienti); poi, se i risultati sono incoraggianti, c’è la fase di transizione in cui la molecola assume l’etichetta di farmaco vero e proprio, che avrà anch’esso un percorso lungo e tortuoso prima di essere commercializzato, che dovrà passare per le autorizzazioni degli enti internazionali e poi quelli nazionali e poi quelli regionali e poi, se le aziende sanitarie hanno i soldi, il farmaco lo acquistano ed ecco che finalmente noi medici, ultima ruota del carro, possiamo prescrivere e utilizzare il farmaco nella pratica clinica quotidiana.

3. I monociti NON sono i responsabili DEL CANCRO = DI OGNI TIPO DI CANCRO, ma che si sta parlando di una forma, fra mille, di cancro del sangue, la LEUCEMIA MIELOMONOCITICA, appunto, e solo quella (ribadisco che non so neanche se si tratti della forma acuta o cronica o di entrambe).

4. Scrivere articoloni sui giornali il cui titolo urla al miracolo della scoperta che renderà la chemioterapia un brutto e lontano ricordo, non solo non è corretto, ma è una bugia bella e buona, che prende in giro la gente, facendo leva sulla sensazione e sull’ignoranza dei lettori (“ignoranza” nel senso buono del termine di “non conoscenza” della materia medica). Ogni tipo di cancro ha basi genetiche e molecolari e cellulari e ambientali a se stanti: magari fosse sempre e solo una la via patogenetica che conduce alla nascita e allo sviluppo delle malattie! Non ci sarebbero più i malati, i medici, gli ospedali, le aziende sanitarie etc etc etc…

5. In ultima analisi, ma in prima e più importante in realtà, se la leucemia mielomonocitica l’avessi io o un mio familiare o una persona a me cara, sarei furibonda con chi mi illude scrivendo cotante corbellerie, affidandole al vento della carta stampata e del web. Ma non spetta a me fare questa dichiarazione. Io sono solo un medico fra tanti, che ricorda però di aver prestato un giuramento deontologico, e che si è sentito in dovere morale di scrivere tutto questo perché ha già sentito voci nei corridoi dell’ospedale dove lavora e nelle sale d’attesa, e dove, guarda caso, transitano proprio anche i malati di leucemia mielomonocitica, acuta e cronica, con cui ha a che fare e che è indignato di fronte all’ennesima manipolazione di una notizia scientifica che al mondo scientifico andrebbe riservata, fino a che non supportata da dati certi da poter diffondere nella comunità. In tutti gli altri casi si impone cautela, onestà, correttezza. Perfino il silenzio. Soprattutto quello stampa. Questo è quanto. Buongiorno.

Qualche giorno dopo ci ha scritto privatamente la dottoressa Lucia Delogu, chiedendoci di poter rispondere alle parole della Giannico. Stando dalla parte della verità ed accettando come sacro e santo il diritto di replica, vi proponiamo anche il suo scritto: Caro Luca, vedo che ha postato credo su qualche pagina uniss il post della dr.ssa Giannico, potrebbe postare anche la mia risposta per correttezza?

CERTAMENTE E IMMEDIATAMENTE – abbiamo risposto. Ed ecco che scrive la DELOGU alla GIANNICO:

Cara Barbara, la ringrazio per il suo post mirato a fare chiarezza sull’articolo di giornale uscito negli ultimi giorni. Lo studio che di recente abbiamo pubblicato sulla rivista scientifica Angewandte Chemie (I.F. >10 per gli addetti ai lavori) con me come corresponding author, era inerente a un particolare tipo di grafene come materiale potenzialmente sfruttabile contro le leucemie mielomonocitiche. Le perplessità scientifiche che espone pensavo si potessero chiarire da una lettura delle parole (intendo quelle virgolettate) mie e dei colleghi coinvolti. Tuttavia certamente potrebbero essere risolte dalla lettura del lavoro scientifico che, essendo lei un medico, speravo potesse fare prima di scrivere il post. La ringrazio davvero per tutto ciò che giustamente ha voluto sottolineare sui tempi necessariamente lunghi affinché una nuova terapia entri nella pratica clinica. Condivido appieno le sue parole in merito, tante giuste parole che difficilmente si possono incastrare in uno spazio giornalistico limitato. “Chemio Addio”? No, non ora. Mi dispiace per chi non ha letto l’articolo del giornale e si è fermato al titolo, invito a leggerlo perché troverà scritto: “Pur essendo altamente promettenti, i risultati finora ottenuti in laboratorio dovranno essere confermati in vivo”. Chi ha letto per intero l’articolo di giornale dovrebbe aver capito che i ricercatori e medici coinvolti in questo studio non avrebbero risposto alla domanda “Chemio Addio?” Con un “Certo abbiamo la cura di tutti i tumori!”: questa domanda non ci è stata posta, né si evince tale risposta dall’articolo. Mi addolora pensare che qualcuno si sia fermato solo al titolo fraintendendone il contenuto. Non capisco ma rispetto la sua opinione sui pazienti; se io fossi malata, o avessi un parente malato come purtroppo mi è successo in passato, sapere che c’è qualcuno al mondo che si sforza per cercare nuove soluzioni mi toccherebbe il cuore, non mi farebbe arrabbiare. Non si illude, si da’ speranza, non per l’oggi ma per il domani. La devo ringraziare per tutte le puntualizzazioni che ha fatto, ma su una non mi trova d’accordo: il silenzio. Di che cosa si dovrebbe occupare la stampa? Hanno forse più valore le notizie di gossip? Di sport? Io credo nella ricerca e sono convinta che, seppur con alcuni inciampi, la stampa possa e debba contribuire a far avvicinare la gente alla Scienza e a tutto ciò che di incredibile ci può riservare in futuro anche in ambito medico. Questo studio ha preso 4 anni della mia vita, anni intensi di lavoro, emozioni e laboratorio fino a tarda notte, ha coinvolto medici di grande preparazione (e aggiungo personalmente di gran cuore, quel tipo di Medici che curano vedendo in ogni paziente un possibile padre, madre, fratello, sorella) e un team internazionale di ricercatori di altissimo livello. Oltre all’Italia, hanno partecipato vari Istituti in Francia, Spagna e Germania. Questo lavoro e’ stato in parte finanziato dalla Commissione Europea con due progetti che sto coordinando e dall’AIL (Associazione Italiana contro le Leucemie). Non sono un medico, ma come tanti, tanti ricercatori in Italia provo con tutta me stessa a contribuire alla medicina, io lo faccio studiando e selezionando nanomateriali.

Ne è seguito un breve dibattito tra chi evidenziava l’importanza psicologica di una, seppur ancora lontana, luce di speranza, e la veridicità del progetto e della pubblicazione. Riportiamo questi passaggi e li inseriamo nella nostra provocatoria rubrica SPAZIO PER CHI NON HA NIENTE DA DIRE, lasciando che sia il lettore a farsi un’idea.

BARBARA GIANNICO scrive:

Dottoressa Delogu,
davvero davvero, veramente veramente, Lei e Suo marito (i cui commenti, sul mio post, seguono il Suo di cui sopra) volete che io argomenti ulteriormente i fatti con l’articolo scientifico alla mano?
Va bene, nessun problema.
Innanzi tutto voglio rassicurarvi che l’articolo scientifico l’ho letto ma, mi sa, che serve che io vi dimostri di averlo letto (e compreso), considerate le vostre allusioni.
Prima di scrivere il mio post, ho letto i tre articoli sui due più diffusi quotidiani isolani e già qualche campanello d’allarme l’ho sentito suonare…
Poi hanno cominciato a proliferare i post sui social, grazie alle persone che hanno condiviso la notizia, e io ho letto alcuni di questi post e numerosi commenti…
Poi è successo che – siccome sono una persona diffidente per natura – ho fatto due chiacchiere in laboratorio qui dove lavoro e ho letto l’abstract (che sarebbe il riassunto del lavoro scientifico, per i non addetti ai lavori).
Sapete com’è, l’abstract NON lo vendono in edicola in allegato al giornale e NON è previsto che i lettori di quotidiani (per uno stimabile 90% circa composto di non addetti ai lavori) debbano avere il background o l’affiancamento di un abstract di un lavoro scientifico (se non addirittura del lavoro scientifico in toto) per poter leggere, senza fraintendere, un articolo di giornale…
Arrivata a questo punto, la mia indignazione è nata, soprattutto come quando, in diverse altre occasioni, è stato sufficiente sondare gli umori e le chiacchiere nei corridoi di ospedale per un paio di giorni, e scoprire che il danno era stato bello che fatto e dunque la mia coscienza, la mia etica, mi ha spinto a scrivere il mio punto di vista su Facebook, dove ho contatti con tanti colleghi e pazienti e non solo.
Nel frattempo però, la sete di sapere per bene i fatti, nata da ulteriori chiacchiere con alcuni addetti ai lavori, mi ha indotto a procurarmi l’articolo per intero e, una volta letto, la mia indignazione, non solo non è scemata, ma è cresciuta esponenzialmente fino a divenire incredulità (con buona pace di Suo marito che mi invita – al contrario – a placarla, la mia e soprattutto quella insorta in conseguenza in terzi).
Partiamo dal principio che questa, per ciò che mi riguarda, NON è (e NON voglio che diventi), una “guerra” personale e sono profondamente convinta che non sia a me, Barbara Giannico, che le Sue spiegazioni, Lucia Delogu, dovrebbero andare.
Io ho gli strumenti per capire e, infatti, ho capito ciò che c’è da capire (senza presunzione; sempre il solito noioso discorso degli addetti ai lavori. Parlatemi di politica o finanza o sport e mi farete KO tecnico in due nanosecondi).
Il problema è di fondo, basilare, gravissimo, immorale e cioè della comunicazione, tramite mass-media, di una NOTIZIA SCIENTIFICA DISTORTA, a partire da un titolo di giornale che ANDAVA SMENTITO IMMEDIATAMENTE CON UNA DICHIARAZIONE PUBBLICA.

Inutile dire, dopo che tutti l’hanno letto e hanno fatto passaparola, che nessuno dei fautori del lavoro ha mai dichiarato che a Sassari è stata scoperta la cura contro il cancro, da cui il famigerato e incriminato “Chemio Addio”, e che le dispiace se qualcuno ha capito male!
“Chemio Addio” vuol dire esattamente “Chemio Addio”.
O “Addio Chemio”, se vi piace di più.
Due sole parole INEQUIVOCABILI, UNIDIREZIONALI, MIRATE, PRECISE, RIASSUNTIVE, DIRETTE, ACCATTIVANTI, SENSAZIONALI.
Due sole parole, in questo contesto, IMMORALI, SCORRETTE, NON ETICHE, FALSE, TENDENZIOSE, FALLACI, MENDACI, FRAUDOLENTE, FUORVIANTI.

E io non avrei dovuto indignarmi? O, avendo avuto più curiosità di un altro collega e voglia di scriverne, non avrei dovuto sentire il desiderio (se non addirittura una forma di obbligo morale) di sottolineare i… com’è che li ha chiamati? i…
Ah, sì, ora ricordo: ”GLI INCIAMPI DELLA STAMPA”?
Sicuri sicuri che non avrei dovuto?
Chissà…
A me è parso che fosse proprio uno di quei casi in cui, da parte della stampa, occuparsi di sport e gossip e lasciar stare la (fanta)scienza, rispettando un religioso silenzio, sarebbe stato opportuno e doveroso, se questo era il taglio che se ne voleva dare.
Anche i giornali e i giornalisti possono (e dovrebbero) essere rimessi al loro posto, se e quando necessario, sapete?
Se si vogliono vendere tanti giornali, per mestiere si sceglie di fare lo strillone.
Se si vuole contribuire all’informazione della popolazione, si fa per mestiere il giornalista e si rispettano le regole dell’etica professionale. Ci son fior fiore di sentenze nei tribunali nazionali che condannano testate giornalistiche, considerate prestigiose, e giornalisti, per la diffusione di notizie false, diffamanti, offendenti, ledenti, etc etc etc.

Pertanto, se un articolo scientifico, pubblicato su una rivista di CHIMICA, mette al corrente la comunità scientifica che l’FLG (il tipo di grafene in questione, sempre per i profani in materia), ha dimostrato attività citotossica selettiva (in vitro, aggiungo io) contro cellule di persone sane e di pazienti affetti da leucemia mielomonocitica (manco nel titolo dell’articolo originale e neanche nell’abstract è specificato se si tratta di leucemia mielomonocitica cronica o acuta e dunque il mio dubbio era lecito e non derivante da mancata informazione sui fatti), forse, la corresponding author, che pare essere la portavoce principale della notizia, poiché Lei compare sui giornali, e che ha già quindi dimostrato di riuscire ad avere ascolto dai mass-media locali e che vuole che la notizia venga diffusa così che “la stampa possa e debba contribuire a far avvicinare la gente alla Scienza e a tutto ciò che di incredibile ci può riservare in futuro anche in campo medico…” (per citare le Sue testuali parole), nel momento in cui constata che il messaggio che è stato lanciato invece non corrisponde al vero, fa sentire ancora una volta la propria voce, alta, molto alta, e dichiara:
“Cari lettori e care lettrici, magari avessimo scoperto la cura contro il cancro! E manco la cura contro la leucemia mielomonocitica abbiamo scoperto, per ora (la forma acuta o cronica? Sempre il mio solito maledetto dubbio, che in fondo non cambia la sostanza delle cose, ma, sa come sono pignoli questi che pubblicano articoli scientifici: più si è precisi e inattaccabili e meglio è).
Però, cercando di capire cosa l’FLG può combinare all’interno di un organismo vivente, abbiamo inaspettatamente scoperto che questo nanomateriale, appunto, riesce, in vitro (cioè in provetta, in esperimenti di laboratorio estremamente preliminari, i primi che si fanno quando si porta avanti un progetto di ricerca che ha come obiettivo ultimo l’applicazione in campo medico umano) a distruggere selettivamente (cioè senza danneggiare le altre cellule “buone” del sangue) alcuni sottotipi di cellule del sangue, di globuli bianchi in particolare, chiamati MONOCITI sia in condizioni di normalità = salute, sia in condizioni di malattia = un tipo di leucemia fra tante, in cui queste cellule proliferano in maniera incontrollata.

Questo ci fa ben sperare che, in un futuro, anche se non vicinissimo (e anzi forse lontanuccio), si possano mettere a punto nuove strategie terapeutiche per questa categoria di malati che, al giorno d’oggi, purtroppo, solo con cocktail di chemioterapici (come tutti ben sanno, tossici per l’organismo intero) hanno una chance di guarigione e di salvezza. La ricerca in Italia, si sa, è penalizzata assai, ma io voglio ben sperare che scoperte di siffatta importanza ottengano i dovuti supporti, in modo da poter essere portate avanti, per il bene della comunità intera”.

Ecco, questo è un esempio di comunicazione efficace, corretta ed etica, di una notizia di caratere scientifico, per i non addetti ai lavori, così che gli addetti ai lavori non s’indignino e non inducano altri ad indignarsi e i malati e le persone vicine ai malati non s’illudano, ma nutrano ragionevole speranza in un futuro migliore.
Comunicare in maniera efficace e comprensibile è una delle prime cose che, chi ha a che fare con i non addetti ai lavori in generale e con i malati in particolare, deve imparare a fare, perché la materia è ostica e non è che si ammalano solo quelli in grado comprendere la materia medica o non è che i quotidiani li leggono soltanto i medici, i chimici e i biochimici e i biologi, eh!
Poi, da addetta ai lavori che legge con gli occhi del clinico medico un articolo di chimica applicata, non reputo necessario, in effetti, specificare su un social network o su un quotidiano locale, che i risultati che finora avete ottenuto in laboratorio provengono dall’analisi di 7, dicasi soli sette, campioni di sangue provenienti da 7 pazienti, affetti da leucemia mieloide acuta (quale forma? Ne esistono diverse, una decina buona, e con biologia assai diversa fra loro, sebbene sempre di malattia della cellula staminale ematopoietca si stia parlando) e da leucemia mielomonocitica cronica.

Nell’articolo si legge che è stata esclusa la tossicità dello stesso materiale in vivo sui topi.
Quali topi? Wild type? Transgenici? Sani? Malati? In che modo è stata testata la non tossicità?
Sono state sacrificate le cavie dopo una, due, quattro, otto, dieci, “ics” settimane, sono stati quindi espiantati milza e midollo emopoietico e si è valutata l’assenza di danno sulle altre cellule ematiche?
E delle famose cellule staminali ematopoietiche che ne è stato?

La reale e persistente efficacia citotossica selettiva dell’FLG è stata testata sulle cavie in un successivo monitoraggio, per valutare se per caso, dopo un determinato periodo di tempo, le cellule monocitarie (sane e/o malate) ricominciano indisturbate a proliferare?
E la tossicità dell’FLG (o la sicurezza, che al contrario dir si voglia) sul resto dell’organismo è stata valutata?
E se sì, come?
Leggevo, infatti, che in letteratura stanno cominciando a comparire i primi lavori sulla tossicità dei derivati del grafene in modelli animali in vivo, una volta iniettati nell’organismo, sebbene la loro biocompatibilità sia già un fatto assodato (biocompatibilità che non significa, infatti, che non possano causare reazioni avverse nel breve o nel lungo termine).

Ecco, tutto questo (frutto del mio personale ragionare da medico su questo articolo) e ben altro, tutto sommato, in un quotidiano o su un social network non vale davvero la pena di scriverlo, perché non è il luogo adatto e perché potrebbe risultare anche inesatto (non conosco tutta la produzione scientifica al riguardo e magari qualche risposta ai miei quesiti esiste già). E, soprattutto, il mio intento non è quello di screditare un lavoro scientifico, poiché non sono nessuno per farlo e non me ne verrebbe niente, oltre che reputo personalmente la scoperta interessante (per quello che il mio parere può contare), ma solo quello di provare a dire:
“Gente, occhio, nessun addio alla chemio in vista, ahinoi!”.
Insomma, quello di cui ho scritto fino alla nausea sin dal principio.

D’altronde ho visto anche che già nel 2015 un gruppo dell’Università di Manchester (ci sono anche nomi di italiani) ha pubblicato su una rivista scientifica la scoperta dell’attività citotossica in vitro dell’ossido di grafene sulle cellule staminali di diverse forme di cancro, come il cancro del pancreas, della mammella, dell’ovaio, del polmone, della prostata e del cervello e, sebbene siano passati già due anni, non mi è parso di vedere o di sapere di alcun oncologo che ha smesso di prescrivere terapie tradizionali per queste maledettissime malattie e non ho visto titoloni di quotidiani che urlavano alla fine delle chemioterapie.

Esattamente come non mi è parso di vedere prescrizioni di grafene endovena o per os ai nostri malati di leucemia mieloide firmate dal dottor Fozza, mio stimato collega, medico ematologo e ricercatore, persona a me cara, il cui nome è fra quelli del lavoro in questione, e le cui parole, le uniche serie, corrette, caute, rispettose, etiche, riportate in uno degli articoli del giornale, sono state fatte passare sottovoce, al punto che nessuno probabilmente le ha potute veramente udire, assordati come si è stati da tutto il chiassoso clangore mediatico.

Per voler concludere, perché ne sta venendo fuori un poema: la scoperta è interessantemente IN EMBRIONE, ma la clinica, i malati, la cura e l’addio alla chemio sono talmente lontani, oggi, che forse è meglio ancora non urlare al miracolo e, se qualcuno lo fa al posto degli addetti ai lavori, è bene placare gli animi (e non la mia indiginazione) dando le dovute spiegazioni. E forse il compito spettava a Lei, dottoressa Delogu, in prima linea e in primo piano sui quotidiani.
Infine, dica per cortesia a Suo marito da parte mia, che esiste la libertà di pensiero, di parola, di opinione, di coscienza e dignità (perfino di stampa, quasi pressoché incontrollata, spesso…), che io ho esercitato nel rispetto del prossimo, e che io ho scelto per la mia vita un ruolo che non prevede che io faccia crowdfunding o che vada a caccia di finanziamenti per la ricerca o che stabilisca interconnessioni planetarie fra ricerca e clinica. Gli dica altresì che non spetta a me “criticare” su una rivista di Chimica un articolo che un pannello di esperti in materia ha deciso di pubblicare, a favore della comunità scientifica di chimici e biochimici e biologi del settore, che si presume abbiano tutti gli strumenti per leggerlo, comprenderne i punti di forza o di debolezza e argomentarlo.

La mia attività è fondamentalmente quella di medico clinico, uno di quelli che stanno in trincea ogni santo giorno, di quelli per i quali non esistono giorni di festa in famiglia e notti nel proprio letto, pause pranzo e straordinari pagati e ferie sempre godute e impegni privati e sociali assolti (e chi più ne ha, più ne metta), se è in turno in corsia.
Di quelli che hanno a cuore i propri malati e che s’indignano assai se qualcuno li prende in giro.

 

NDR: Naturalmente restiamo a completa disposizione se la dottoressa Delogu volesse ulteriormente replicare.

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