Ostrovskij secondo De Monticelli
Mi trovo sempre in difficoltà quando devo recensire uno spettacolo dove ci sono persone con le quali ho condiviso anni di palcoscenico. Il rischio di apparire troppo buoni è altissimo. L’errore contrario sarebbe quello di essere gratuitamente spietati per dimostrare un’assoluta imparzialità. C’è poi la presunzione di conoscere già quegli interpreti, di sapere come recitano e quali sono i registri stilistici di ognuno di loro, e non riuscire a definire la loro prova con oggettività.
Al di là della nota personale ho provato davvero ad astrarmi dal vedere in scena delle persone che conosco, con tutte le risate e il lavoro fatto insieme in passato, e concentrarmi esclusivamente sui personaggi.
Ecco perché non ho remore nell’affermare che lo spettacolo messo in scena dal Teatro Stabile della Sardegna ha almeno tre evidenti problemi: il primo, gravissimo, è relativo allo spazio sassarese nel quale, da neanche un mese, la stagione di prosa si svolge. Il nuovo teatro comunale, infatti, visivamente uno scintillante gioiellino, è assolutamente inadatto ad accogliere la prosa. Bisogna urlarlo: NON VA BENE! Spero di essere stato chiaro: non va bene per la prosa classica! Se al teatro Verdi ci si lamentava della troppa distanza tra proscenio e platea in questa nuova sede il problema è amplificato sino all’esasperazione. Dalla linea di sipario corre un ulteriore ribalta di tre metri e poi una semicirconferenza (che presumibilmente funge da golfo mistico) di circa sei metri e mezzo. Un emiciclo, diremmo a Sassari. Per capirci da proscenio al primo spettatore ci sono oltre dodici metri! Se poi consideriamo che la prima scena di LUPI E PECORE si svolge oltre un siparietto al centro del fondale che rappresenta una sorta di portone, immaginate più facile cogliere i pettegolezzi delle signore in ultima fila che le battute degli attori in scena.
Il secondo problema, meno grave ma drammaticamente e non drammaturgicamente urgente, è dato, di riflesso, dalla motivazione degli attori di fronte a un problema tecnico così pesante. In uno spettacolo fatto praticamente tutto di testo non cogliere una battuta può far precipitare nel baratro il patto narrativo. Ma questi ci sentono? – si domanda l’attore continuamente. Pessima atmosfera ma parziale scusante.
Molte, troppe battute si sono perse nel nulla, e chi conosceva il testo provava a suggerirlo ai vicini. Scenetta grottesca di rarissimo squallore.
Per finire, ancor meno grave perché semplicemente una scelta, l’idea registica e l’impianto scenografico. Escludendo alcune proiezioni sul fondale gli attori sono stati inghiottiti dal nero, e non si giustifica una tale cupezza con la presunta drammaticità di un teatro epico, sociale, morale. Anche il peggiore dei fantasmi va fatto vedere per incutere timore, e di questo l’onesto De Monticelli doveva tener presente. Ma c’è dell’altro. La scelta coraggiosissima della mancanza di un’attualizzazione, di una riscrittura, e quella, per contro, di conservare la versione integrale (oltre due ore e mezza di spettacolo) e delle scene minime che però non esprimono minimalismo ma solo freddezza ed una essenzialità non necessaria, a nostro personale e forse sbagliato avviso. Mancava un pizzico di leggerezza, un tocco di quel Nekrosius che ci ha raccontato il teso e gelido teatro russo con semplicità e immediatezza narrativa. Ma queste sono scelte registiche e qui il critico tace, considerato che non è suo il nome sotto la scritta REGIA della locandina.
La storia è shakespearianamente attuale e la scelta di metterla in scena merita un applauso, ma è l’unico spontaneo e sincero: la vecchia Meropa è una tenutaria decaduta che fatica a stare appresso ai creditori. Grazie allo spregiudicato e ambiguo Cugunov orde varie trame per estorcere denaro, soprattutto alla bella ereditiera Kupavina, che è convinta di versare i soldi per una giusta causa. Il tutto grazie ad un nipote di Cugunov, Goreckij, che imita alla perfezione calligrafie e genera false lettere di credito, dichiarazioni, testamenti. Il nipote scapestrato e superficiale di Meropa invece, Apollon, ama solo la lingua francese, la vodka e il suo cane, Tamerlan. In questa vicenda il legalissimo Lynjaev prova a capire chi produce e mette in giro così tanti documenti falsi. All’ignavia e poca intraprendenza di Apollon, Meropa organizza per lui un matrimonio, sotto ricatto, proprio con la Kupavina (le piacerebbe), mentre l’intraprendente Glafira corteggia Lyniaev per interesse e per dimostrare il potere femminile sul genere maschile. A questo punto arriva Berkutov, un vicino possidente che, intuite le potenzialità dei terreni dell’ereditiera, sui quali verrà costruita la ferrovia transiberiana, fa di tutto per acquistarli, sposare la Kupavina e smascherare i giochetti illeciti di Cugunov e Meropa. Anche Lynjaev cade, cede, sposa Glafira con la quale lo attende un destino al guinzaglio. La cosa neanche tanto paradossale è che il destino e il suo conseguente futuro, è negato, poco prima della chiusura del sipario, all’unico che il guinzaglio lo indossa per davvero: il povero Tamerlan verrà sbranato dai lupi, mettendo Apollon di fronte al suo futuro presente, quello dell’età adulta fatta solo di responsabilità. Uno strano e amaro lieto fine che annuncia, appunto, nuovi lupi, ancora più affamati, macabri e voraci. Con un ricorso narrativo carissimo a Gogol, il nome di Berkutov richiama la parola Berkut, l’aquila reale, il rapace per eccellenza, che più del lupo scruta le cose dall’alto, guarda avanti e vola sopra la storia.
Qualche nota sugli attori: Paolo Meloni è perfettamente a suo agio nel personaggio, il suo Cugunov è mellifluo quando occorre e pronto al compromesso in cambio di un pizzico di potere. Corrado Giannetti è un credibile panzone buontempone nella parte del giudice Lynjaev, e a nulla può la sua ricerca di legalità contro le azioni sessualmente illegali di Glafira.
Marco Spiga ha il grande privilegio di essere il primo ad alzare la voce e ridestare la platea dal torpore e dal fastidio dei motori dell’impianto di condizionamento, aiutato da un personaggio come Goreckij, sbruffone e scanzonato quanto basta. Marco è ben inserito anche nella doppia parte, dove racconta, con gesti affettati e sguardo severo, un efficacissimo Berkutov. Elegantissimo. Luigi Tontoranelli è classico e accademico, e costruisce un Apollon fastidioso quanto basta. La sua è una recitazione pulita e presente, senza strascichi, derive o giochetti ruffiani.
Se devi parlar male non parlarne, diceva a Saxa Rubra il buon Vincenzo Mollica. E noi, per concludere, e per non offendere gli onestissimi sforzi delle due giovani attrici, le reputiamo inesistenti. Non indegne di nota, per carità, ma solo rimandate a settembre. Le parti femminili non convincono affatto, e le giovani attrici possono mentire con se stesse o invocare scuse per malanni inesistenti, ma sanno perfettamente della loro rispettiva e assoluta inefficacia in scena. Se si esclude l’esperienza di Maria Grazia Sughi, anche lei appena sottotono nelle due serate sassaresi, alcune intenzioni, moltissimi toni, troppi scarti, erano assolutamente inascoltabili.
L’unico accenno appena divertente, a onor del vero, è un siparietto tra Lynjaev e Glafira, recitato sul divano e appena osato sensualmente, dove Corrado Giannetti dovrebbe far da spalla alla giovane attrice ma si prodiga invece in uno sforzo, riuscito, di tirar su una scena che forse in prova funzionava meglio. Per una commedia definita nella scheda come divertentissima è un po’ pochino, e solo Giannetti non è sufficiente.
Giorgio Strehler diceva che ciò che conta è quel che resta dentro lo spettatore a fine spettacolo. Se pure Ostrovskij aveva un intento morale questo non è assolutamente emerso, e ciò che resta è ben poco di una regia onesta ma incompleta. Agli attori un fortissimo applauso per quanto fatto e per il futuro. Al regista il consiglio, assolutamente immodesto, di leggere Arto Paasilinna e provare a raccontare ancora con la stessa forza e onestà una storia universale come questa.
Un’ultima cosa sullo spazio teatrale: la sala è ben riscaldata prima che lo spettacolo cominci e migliaia di metri cubi d’aria a una temperatura inferiore di almeno dieci gradi investono le prime file di platea all’apertura del sipario. A quel punto è tutto un rindossare cappotti e giubbotti tra commenti a mezza voce che certo non aiutano gli attori in scena. Questa ondata di freschezza andrebbe battezzata, e per questo grato compito cedo la parola a professor Brigaglia, autore di neologismi turritani da antologia.
Luca Losito
Articolo di grande pregio. Non solo per la virtuosa recensione dello spettacolo ma anche per l’attenzione che l’autore dedica allo spettatore, spesso trascurato, dalla critica teatrale. Ciò che egli dice, a proposito dell’aria fredda, avvertita nelle prime file, è verissimo nonché scandaloso. Si fa infatti più attenzione a coprirsi il collo che a scoprire gli occhi e attivare l’attenzione per godersi lo spettacolo!
L’ho visto a Ozieri la sera del 20 gennaio. Concordo su un’ipotesi di riscrittura del testo, giacché due ore e quaranta minuti pesano (oltretutto lo spettacolo è iniziato con almeno venti minuti di ritardo), inoltre ci sono alcuni punti in cui la trama “stagna un po’”; concordo anche sul fatto che alcune battute si sono perse, non so se per mancanza degli attori o dell’impianto fonico. Non mi trovo però d’accordo, ma questo solo dal punto di vista di semplice spettatore, sul giudizio espresso circa le due giovani attrici: io le ho trovate frizzanti, piacevoli e convincenti (nonostante la lunghissima durata dell’opera).
Gentile sig. Losito
Trovo decisamente ridicole nonché offensive le sue critiche nei confronti del mio lavoro e di quello della mia collega.
Non che non accetti recensioni che stroncano il mio operato, benché sia la prima che ricevo cosi priva di analisi e lo stesso vale per la mia collega, ma ciò che mi rammarica è l’incapacità di criticare lo spettacolo nella sua interezza perché il resto del cast è più che altro una casta per lei di intoccabili amici e vecchi colleghi che meritano dunque la sua rispettosa approvazione.
Inoltre temo di doverle far notare che i malanni immaginari di cui parla erano veri e propri danni alle corde vocali che hanno provocato la mia prima afonia quasi totale a causa anche del vostro orribile teatro inadatto a spettacoli di questo tipo.
Ripeto le critiche non spaventano gli attori ma critiche ingiuste si.
Lo spettacolo, come lei dovrebbe saper bene, si fa con sapiente regia e la coralità di tutti é il risultato finale. Se non ha gradito la nostra prestazione la invito a rivedere lo spettacolo prima di emettere sentenze, in un luogo più consono a tale rappresentazione ( pensata per altro dal regista stesso in un teatro piccolo!) , di non attribuire la responsabilità di un opera intera a due attrici e di non accusare di malanni immaginari chi lavora nonostante l’affaticamento dovuto peraltro al vostro teatro freddo e totalmente sbagliato.
Cordialmente
Mariagrazia Pompei
Signora Pompei,
Avrei preferito non risponderle visto che, da attrice di teatro quale lei si definisce, dovrebbe sapere che commentare una critica vale poco. Ma tant’è… cedo:
Se trova ridicole le mie critiche le suggerirei di godersi la risata. Di questi tempi ridere fa bene.
Se trova offensiva la mia critica si rivolga a un legale, pare che questo sia lo sport dilettantistico più diffuso in questo periodo.
Dire che la recensione è priva di analisi è assolutamente ridicolo e perciò mi godo la risata. Di questi tempi ridere fa bene.
Quando critico un’opera decido io CHI, COME, QUANDO e PERCHE’ e non spetta certo a Lei dirmi in quali modi operare, parzialmente o integralmente. Inoltre, se legge tra le righe, capirà che non ci sono note di elogio per nessuno e che in principio di pagina esprimo proprio la mia difficoltà nel recensire la prestazione di persone che conosco. Niente casta intoccabile, solo tentativo di astrazione e verità.
Poco riuscito? Può darsi. La scrittura è soggettività, non è una formula matematica.
L’afonia, mio personale parere, è la malattia professionale di chi non sa usare lo strumento del suo lavoro, la voce in questo caso; quindi se lei è afona ben le sta e non invochi ancora una volta malanni per giustificare, e quindi ammettere, la sua scarsa presenza scenica. Così facendo lei mi da ragione. Avrebbe preferito che avessi scritto che purtroppo, a causa di una non voluta e improvvisa afonia, gli spettatori non sentivano le sue battute? Non era quello l’errore, Lei sbagliava le intenzioni, i toni, si muoveva guardando per terra e facendo chiaramente capire al pubblico DOVE il regista le aveva detto di fermarsi. Qualcosa che normalmente giudico PESSIMO.
Non capisco inoltre cosa intende con NOSTRO teatro visto che non ne sono né proprietario né socio, e la locuzione CRITICHE INGIUSTE è una contraddizione tra i termini. Non esistono critiche giuste così come non esiste una satira equilibrata o un’accusa pacata. La critica è sempre spietata, se onesta e non volutamente diffamatoria negli intenti. Nessuno emette sentenze, né di condanna né di morte, e non capisco in quali parole lei LEGGA che io attribuisco la responsabilità dello sfacelo (cosa che non ho detto) a Lei e alla sua collega.
Scrivere poi CORDIALMENTE quando i suoi toni NON SONO cordiali è un atteggiamento che sfiora l’ipocrisia. Ma poiché sono CERTISSIMO che lei non è una persona ipocrita, la invito a comprendere che una critica di questo genere non può che farle bene, in termini pubblicitari e mediatici. La prenda come uno stimolo, un incoraggiamento ad andare avanti da folle ed ottimista amante del teatro, in un mondo che ha bisogno di folli e ottimisti come lei. Un abbraccio sarebbe troppo, m’inchino a Lei e le stringo freddamente la mano.
Gentile Sig. Losito ,
mi sa che non c’e’ prorpio nulla da ridere e ritengo che le sue lezioni di vita e di teatro siano inutili ed acquose almeno quanto le sue critichine.
Non solo mi trovo d’accordo con quanto scrive la mia collega, ma mi permetto anche di suggerirle di frenare abbondantemente le smanie di potere che la colgono quando si trova seduto allo scrittoio. Abbiamo letto chiaramente che le risulta difficile giudicare imparzialmente e tecnicamente lo spettacolo quindi non si disturbi a darci anche delle lezioni al riguardo. Forse LEI avrebbe potuto evitare di rispondere, risparmiandoci lo stiracchiato e quasi farsesco tentativo di continuare a difendere una tesi priva di sostanza quale giudico la sua recensione sullo spettacolo. Non totalmente per colpa sua pero’ “quel teatro”, come lei ha scritto, non e’ adatto ad accogliere la prosa. Io certamente le avrei suggerito, visto che lo urlava, di farlo almeno con forza e non con diplomazia, ma forse anche qui c’e’ qualche amicizia che non desidera infastidire e noi ci troviamo con l’ennesimo spazio, pagato dalla comunità’ buttato al vento e senza teatri costruiti sapientemente per permettere agli attori di RECITARE in pace ed agli spettatori di godersi lo spettacolo. Mi domando davanti a un simile scempio come possa poi replicare “Cosa intende per il Nostro Teatro etc etc..”. Non le stanno quindi affatto a cuore gli spazi dedicati alla cultura in Sardegna? Ma come? Mi e’ sembrato tutto il contrario visto che passa le notti (a quanto pare) cercando d’infondere orgoglio attraverso internet, sulle note di Battiato, illuminando le genti (con la sua candelina) attraverso discorsi e osservazioni riguardanti l’odierna condizione culturale della nostra “povera patria”.
Trovo ridicolo anche io che gli attori nonostante gli sforzi per contrastare un’ambiente così poco pensato, freddo (letteralmente) e inospitale vengano maltrattati e colpiti nella loro professionalilta’. La mia collega a causa delle continue esposizioni al gelo e’ stata colta da un serio impedimento nel lavoro e nonostante il legittimo diritto di potersi di curare e tutelarsi ha scelto di andare comunque in scena. Una scelta, a mio avviso, nobile e direi originale visti gli attacchi di divismo diffusi in questa professione, ma lei invece di sottolineare questo ha preferito demolirla professionalmente ed immaginarla viziata ed isterica invece che appassionata e dedita al lavoro. Cio’ mi fa pensare che in teatro e’ abituato a sedere comodamente in platea ignorando il mondo meraviglioso che anima la macchina teatrale e che vive dietro le quinte, o se anche l’avesse fatto di certo si e’ comportato da turista e non da attento conoscitore .
Continui a decidere pure Chi, Come, Cosa, Quando e Perché , liberissimo di farlo, ma se ne prenda anche le dovute responsabilità’ e conseguenze che in questo caso sono i giudizi due professioniste che sono state prese chiaramente di mira non solo a causa della loro prova attoriale, ragionevolmente mutevole al gusto, ma che in questo caso sono al di fuori della sue preziosa rete di amicizie e per questo crocifisse, anzi peggio rimandate a Settembre come due scolarette sempliciotte e svolgiate.
Giovani si, ma non per questo inconsapevoli alla fatica del teatro mi creda!
Non ci disperiamo pero’, noi non ci sentiamo affatto inesistenti e sappiamo, con il nostro lavoro, ed i nostri sforzi continui per migliorarci, di essere riuscite con questo spettacolo nel nostro principale intento : arrivare al pubblico, rallegralo e forse metterlo in guardia, fedeli al meraviglioso testo di Ostrovski e alla regia.
Tante altre persone hanno assistito, per fortuna, allo spettacolo e hanno vissuto con noi le emozioni dei personaggi, questo ci ripaga sempre da ogni sforzo.
D’altronde la pioggia c’e chi la sente sulla pelle e chi infastidito crede di essersi solo bagnato, così io penso il teatro e chi lo vive davvero.
Da parte mia niente abbracci, inchini o mani fredde, neanche i saluti di rito.
PS. Grazie al Signor. Mario Borghi per i suoi piacevolissimi commenti.
Ad Ozieri siamo stati benissimo, accolti nel piccolo ed umile teatro da un ricchissimo pubblico.
Caro sig Losito
le rispondo perché credo sia il caso di non lasciar intentata nessuna spiegazione o difesa possibile della mia posizione di attrice, definizione in cui io mi ritrovo perfettamente.
La sua critica a mio avviso continua a essere insensata in quanto non c’è diaframma che sostenga l’aria fredda e una acustica più adeguata ad un concerto di Laura Pausini piuttosto che ad uno spettacolo di prosa! Quindi rinnovo la mia accusa verso di lei ( e non ho bisogno di perder tempo con legali) nel farle notare che anche lei, che si suppone un professionista, non era nelle condizioni adeguate per poter giudicare un operazione artistica tanto sacrificata.
La mia prestazione può non essere piaciuta ma questo non mandera in crisi la mia autostima essendo una scelta registica la direzione dell’interpretazione del mio personaggio.
Ma ripeto può anche darmi del supremo cane, incapace, priva di presenza scenica, non sono le sue parole che temo. Mi innervosiscono le sue altisonanti definizioni in quanto credo, anzi ne sono assolutamente certa, che quel teatro e i miei PIÙ CHE REALI PROBLEMI di afonia ( mai avuti prima- dall’accademia in poi) non possano essere messi in discussione.
Lei ha assistito ad uno spettacolo che non può essere visto in quelle condizioni e attribuire a me oltretutto in questa ultima risposta l’incapacità di usare il mio strumento vocale è meschino e volgare.
Non ho bisogno di pubblicità,si tranquillizzi,e da ridere tra le sue righe ce n’è da passarci una serata intera tra amici!
Non ho mai risposto a nessuna recensione in vita mia ma trovo scorretto offendere chi lavora in condizioni pessime: lei questo spettacolo non era in grado di poterlo apprezzare e dunque valutare.
La invito a essere più presente al suo lavoro piuttosto che ridere amaramente di una critica alla critica.
Non insulti il mio modo di padroneggiare la mia impostazione vocale perché insegnanti capaci e registi affermati mi hanno saputo insegnare ma nessuno puo difendersi dall’aria condizionata, dal freddo dei camerini e delle quinte! Le assicuro che sia io che la mia collega siamo state scelte da regista per mezzo di un audizione poi un lungo laboratorio e dopo una prima produzione siamo state chiamate per interpretare quei ruolo. Un attento professionista qual’è il regista dello spettacolo secondo lei, é in grado di valutare una buona impostazione della voce? Io credo proprio di si!
Cordialissimamente
Mariagrazia Pompei
Ho avuto l’opportunità di vedere questo spettacolo a Cagliari lo scorso anno , non sono d’accordo con quanto lei dice. Lo spettacolo l’ho trovato divertente e scorrevole e le due ore e mezzo sono volate. Le due giovani attrici tengono su lo spettacolo in modo mirabile dando una certa gioiosita’ a tutte le scene interpretate. Quest’ anno sono andata a rivedere la replica al Massimo e l’ ho trovato ancora più’ completo. Certo lupi e pecore e’ un classico del teatro russo, non adatto a tutti. Comunque tutti bravi e in modo particolare le tre donne.
Non capisco come mai il mio commento, in risposta alle affermazioni riportate in questo blog, nonostante passati alcuni giorni non sia ancora stato pubblicato…, ma prima di appellarmi al diritto di replica ci riprovo…
Gentile Sig.Losito,
mi sa che non c’e’ prorpio nulla da ridere e ritengo che le sue lezioni di vita e di teatro siano inutili ed acquose almeno quanto le sue critichine.
Non solo mi trovo d’accordo con quanto scrive la mia collega, ma mi permetto anche di suggerirle di frenare abbondantemente le smanie di potere che la colgono quando si trova seduto allo scrittoio. Abbiamo letto chiaramente che le risulta difficile giudicare imparzialmente e tecnicamente lo spettacolo quindi non si disturbi a darci anche delle lezioni al riguardo. Forse LEI avrebbe potuto evitare di rispondere, risparmiandoci lo stiracchiato e quasi farsesco tentativo di continuare a difendere una tesi priva di sostanza quale giudico la sua recensione sullo spettacolo. Non totalmente per colpa sua pero’ come lei ha scritto : “quel teatro non e’ adatto ad accogliere la prosa”. Io certamente le avrei suggerito, visto che lo urlava, di farlo almeno con forza e non con diplomazia, ma forse anche qui c’e’ qualche amicizia che non desidera infastidire e noi ci troviamo con l’ennesimo spazio, pagato dalla comunità’ buttato al vento e senza teatri costruiti sapientemente per permettere agli attori di RECITARE in pace ed agli spettatori di godersi lo spettacolo. Mi domando davanti a un simile scempio come possa poi replicare “Cosa intende per il Nostro Teatro etc etc..”. Non le stanno quindi affatto a cuore gli spazi dedicati alla cultura in Sardegna? Ma come? Mi e’ sembrato tutto il contrario visto che passa le notti (a quanto pare) cercando d’infondere orgoglio attraverso internet, sulle note di Battiato, illuminando le genti (con la sua candelina) attraverso discorsi e osservazioni riguardanti l’odierna condizione culturale della nostra “povera patria”.
Trovo ridicolo anche io che gli attori nonostante gli sforzi per contrastare un’ambiente così poco pensato, freddo (letteralmente) e inospitale vengano maltrattati e colpiti nella loro professionalilta’. La mia collega a causa delle continue esposizioni al gelo e’ stata colta da un serio impedimento nel lavoro e nonostante il legittimo diritto di potersi di curare e tutelarsi ha scelto di andare comunque in scena. Una scelta, a mio avviso, nobile e direi originale visti gli attacchi di divismo diffusi in questa professione, ma lei invece di sottolineare questo ha preferito demolirla professionalmente ed immaginarla viziata ed isterica invece che appassionata e dedita al lavoro. Cio’ mi fa pensare che in teatro e’ abituato a sedere comodamente in platea ignorando il mondo meraviglioso che anima la macchina teatrale e che vive dietro le quinte, o se anche l’avesse fatto di certo si e’ comportato da turista e non da attento conoscitore .
Continui a decidere pure Chi, Come, Cosa, Quando e Perché , liberissimo di farlo, ma se ne prenda anche le dovute responsabilità’ e conseguenze che in questo caso sono i giudizi due professioniste che sono state prese chiaramente di mira non solo a causa della loro prova attoriale, ragionevolmente mutevole al gusto, ma che in questo caso sono al di fuori della sue preziosa rete di amicizie e per questo crocifisse, anzi peggio rimandate a Settembre come due scolarette sempliciotte e svolgiate.
Giovani si, ma non per questo inconsapevoli alla fatica del teatro mi creda!
Non ci disperiamo pero’, noi non ci sentiamo affatto inesistenti e sappiamo, con il nostro lavoro, ed i nostri sforzi continui per migliorarci, di essere riuscite con questo spettacolo nel nostro principale intento : arrivare al pubblico, rallegralo e forse metterlo in guardia, fedeli al meraviglioso testo di Ostrovski e alla regia.
Tante altre persone hanno assistito, per fortuna, allo spettacolo e hanno vissuto con noi le emozioni dei personaggi, questo ci ripaga sempre da ogni sforzo.
D’altronde la pioggia c’e chi la sente sulla pelle e chi infastidito crede di essersi solo bagnato, così io penso il teatro e chi lo vive davvero.
Da parte mia niente abbracci, inchini o mani fredde, neanche i saluti di rito.
PS. Grazie al Signor. Mario Borghi per i suoi piacevolissimi commenti.
Ad Ozieri siamo stati benissimo, accolti nel piccolo ed umile teatro da un ricchissimo pubblico.
Approvo entrambi i commenti in questo momento: nessuna censura, solo riposo fine-settimanale
Saluti,
La Redazione
Durante un mio soggiorno per motivi di lavoro nella bella Sardegna, ho avuto la fortuna di vedere questo spettacolo e per la stessa rappresentazione, sono ritornata a teatro altre ben due volte prima di ripartire: semplicemente, mi e’ piaciuto moltissimo. Vivo e lavoro a New York e frequento assiduamente il mondo dell’arte contemporanea, sono immersa in questo mondo per amore e lavoro e dalle sue incredibili multisfaccettature ho imparato a rimanere umile di fronte ad ogni rapresentazione artistica, per liberare il mio giudizio critico da eventuali insicurezze personali. Talvolta il percorso e’ piu facile altre volte piu’ ostico, quando il mio solido bagaglio culturale e la mia spiccata apertura mentale sono messe alla prova, l’esercizio di umilta’ diviene e’ un ottimo pretesto per migliorarsi personamente. Dopo aver visto lo spettacolo tre volte ed aver letto la sua critica, le conisglio vivamente di provare questo esercizio. In tempi bui come i nostri, dove la creativita’ artistica e’ mutilata dal qualunquismo, dalla volgarita’ e dalla corruzione, snociolare un esigua conoscenza tecnica, decorandola con un humor irrispettoso ed insipido come la “rimandatura a Settebre” per smontare un buon spettacolo e’ davvero un delitto non tanto per la mediocrita’ palesata, peggio, e’ noioso, perche’ leggere una critica di un critico che scontatamente critica e’ cosi..scontato! Potrebbe rendere la sua rubrica piu’ interessante, riportando diversi punti di vista e non solo la sua piatta bidimensionale visione del proscenio con tanto di misure.. Forse, e’ stato distratto ( od infastidito ?) dal fatto che lo spettacolo fosse prevalentemente trainato da forti e vibranti ruoli femminili mentre quelli maschili, che ho apprezzato moltissimo, giocassero da appoggio?. La prego, si sforzi a guardare piu’ in la del suo naso, incoraggi la rarissima arte di qualita’ che annaspa nel nostro vecchio paese ma sopratutto le brave attrici Italiane, che ingiustamente rimangono all’ombra delle grottesche forme femminili distorte dal silicone di tutte le pseudo-attricette straniere o di tante capricciose veline mogli di boss mafiosi o calciatori analfabeti che si improvvisano artiste ed attrici. Sono cosi’ stufa di sorbirmi questa immagine cosi’ scadente di noi donne, di vedere queste icone della grossolanita’ premiate e ben pagate per stare sotto i riflettori di teatri e non, senza talento se non quella triste capacita’ autodenigrante di scimmiottare una vana idea del femminile, MENTRE ci sono moltissime giovani professioniste serie, acculturate, preparate anche naturalmente bellissime che coraggiosamente si mettono alla prova ogni giorno per offrire il proprio talento, che vengono pagate una vergogna lavorando instancabilmente in freddi ed angusti teatri per poter esprimere l’amore per la propria professione e per l’arte. Io mi nutro di questi personaggi che mi ispirano nel lavoro e mi motivano nella vita, lei le rimanda a Settembre che poi, scolasticamente parlando e’ un metodo punitivo cosi’ arretrato, nelle buone scuole moderne non si usa prorpio piu’ quindi credo proprio la sua scuola sia davvero una scuoletta.
Grazie al teatro stabile della Sardegna per il ricco programma offerto la stagione precedente e grazie alle lupe dello spettacolo di lupi e pecore, continuate cosi’ ragazze!.
Scusate se mi intrometto da spettatrice e lettrice, ma mi sembra che le due attrici soffrano di manie di persecuzione. La recensione parla di tutto, non solo di loro. Anzi, pone in primo piano l’effettiva inadeguatezza del teatro, in secondo luogo il disagio degli attori a recitare in un posto del genere, in terzo luogo la regia in generale. Come spesso accade, si prende solo quello che fa comodo (le due righe sulle attrici, su una recensione di centinaia di righe) per contestare un tutto, a mio avviso, imparziale e completo e per contestare chi ha il coraggio di dire la sua. La verità è che non si è più abituati a essere criticati. Prendete il buono da questo e migliorate. Se vi sentite nel giusto, lasciatevi scivolare la critiche, senza curarvene. Ma evitate questo modo inutile e quasi ridicolo di giustificarvi, perchè fate pensare che, allora, un po’ di verità in quelle critiche ci fosse! Buon lavoro a tutti, e speriamo di rivedervi presto a Sassari con un nuovo spettacolo!
Gentile dottor ingegner menelik Losito, Lòsito o Lositó,
Mi dispiace dover le dare torto perciò le darò ragione.
Non so, d’altronde, su cosa.
Non vidi la performance di cui sopra, non conosco le attrici di cui parla, non so chi sono.
L’ultima affermazione è della mia seconda personalità. Soprassieda.
Ciò (?) nonostante mi sento in diritto di dirle che lei non può permettersi di dire quel che vuole.
Un testo attore autore regista è bello bravo ineccepibile.
E se non lo è lo sarà. Prima o poi.
I teatri sono brutti. Se non lo sono lo saranno.
Le sembra normale infierire?
Sarebbe come dire che un regista debba tenere conto del teatro in cui opera per ridisegnare una regia o che un attore debba adeguarsi agli spazi ed alle condizioni ambientali per dare un corpo più proprio alla propria vis recitativa.
Corbezzoli.
Senza esclamativo ‘ché fa tanto facebook.
La saluterei cordialmente ma ignoro il significato di “la”.
Orsù.
Più o meno.
A. G.