Il gusto di parlar male.
Quando morì papa Gregorio XVI, Gioacchino Belli, che aveva scritto moltissimi sonetti burleschi e satirici, (anche pesanti), contro di lui, disse: “Devo confessà che questa morte me dispiace assai. Glie volevo bene a Gregorio, perché me dava er gusto de dinne male”.
Procedendo oltre la meravigliosa provocazione che aprirebbe un dibattito infinito sui diritti della critica, sui limiti della satira, sugli eccessi nell’esprimere dissenso, ogni giornalista confessa che poter scrivere qualche volta male di qualcuno, sia un’azione catartica e liberatoria. Non aver apprezzato un’artista, ad esempio, avere gli strumenti culturali per poterlo attaccare e farlo con onestà, è un piacere e uno sfogo al tempo stesso.
Ma è anche un modo di andare oltre gli applausi o i fischi, la maniera più diretta – e a nostro avviso corretta – per dire CHI, COSA, COME e PERCHE’ non ci è piaciuto. E questo può essere sia un esercizio di stile che un divertissement letterario.
Ricordo un articolo di un grande critico nostrano – tuttora vivente – che per smontare una compagnia teatrale, (che aveva messo in scena il classico shakespeariano Romeo e Giulietta), vantò soltanto le doti atletiche dell’attore che interpretava il protagonista. Chi era capace di leggere tra le righe capiva perfettamente la stroncatura. Arte rara, quest’ultima, da dosarsi anche nell’abuso se, appunto, applicata con onestà intellettuale. C’è chi invece parla bene di tutti, e chi non parla di nessuno di cui non possa parlar male. Ma pare che ormai esistano addirittura categorie di pseudoartisti che si burlano di una parte della stampa dicendo che NESSUNO LI CRITICA.
Ed è proprio per questo che esiste Sassari City, con la sua libertà e la sua sfacciataggine, perché non si arrivi un giorno a dire che NESSUNO CI PUBBLICA.
Luca Losito