E’ in corso a Sassari, presso la sala Duce del nostro Comune una mostra curata da quel fenomeno tanto discusso di Vittorio Sgarbi: Caravaggio e i caravaggeschi.
Che dire di questa mostra, intanto va ricordato che il curatore, nota figura della televisione, diciamo, meno nobile, ha un’esperienza diretta come politico e amministratore, che l’ha portato in giro per il nostro paese.
Sa, perciò, della presenza diffusa di un cospicuo numero di amministratori locali a dir poco sprovveduti, almeno sul piano culturale e artistico, che, infatti, lo considerano una delle maggiori autorità in materia, una sorta di divinità, ai quali riesce a sbolognare facilmente dei prodotti confezionati a misura della dabbenaggine di quanti abboccano.
Nella stragrande maggioranza dei casi, questi pacchetti sono assolutamente privi di contenuti scientifici, e vengono definiti con la vacua sigla del “grande evento”, termine col quale s’intende ammiccare al grosso pubblico (soprattutto ai turisti sperando che piova).
Caravaggio rappresenta un culmine nella storia dell’evoluzione del linguaggio artistico, dopo di lui tutta l’arte, fino ai giorni nostri (basti pensare, per esempio, all’uso della fotografia nel cinema), diventa caravaggesca, come, del resto, dopo Brunelleschi tutti gli artisti adottano la prospettiva, o come dopo Van Eyck tutti i pittori si convertono all’uso dei colori a olio.
Si tratta di fenomeni storici che, per via della loro stessa gigantesca estensione, diventano difficilmente analizzabili attraverso delle mostre.
Se proviamo a immaginare delle esposizioni dedicate a Brunelleschi e i pittori di prospettiva, e a Van Eyck e i pittori a olio, si può capire che darebbero, evidentemente, la stessa sensazione di sconcertante banalizzazione riassuntiva che comunica questa sui caravaggeschi.
La mostra in se è una raccolta eterogenea di quadri, per la maggior parte provenienti da collezioni private, allestita in uno spazio ristrutturato secondo un progetto che lo riduce a due angusti corridoi paralleli e pessimamente illuminata (bisogna fare i contorsionisti per trovare un punto di vista che eviti i riflessi) il tutto secondo le norme del più conformista stile “grande evento”.
Questa esposizione è in netto contrasto con quanto sostenuto dalla teoria olistica, secondo la quale qualunque tutto è sempre qualcosa di più della semplice somma degli elementi che lo compongono, in questo caso, infatti, la mostra non riesce a essere nient’altro che l’insieme dei lavori presentati, senza nessuno scatto di valore aggiunto.
Se quest’operazione avesse avuto un vero significato culturale (cosa della quale la nostra Amministrazione Comunale è convinta), la sede naturale a Sassari, sarebbe dovuta essere quella del MUSA, se non altro per rispetto dei ruoli, luogo che, anche dal punto di vista strutturale, sarebbe stato più idoneo allo scopo.
A parte l’ansia di protagonismo, non si capisce quale spinta, che idea di politica culturale abbia suggerito la scelta di mettere a disposizione di un antiquario privato spazi e denaro pubblico, e di sborsare un compenso al critico, che dalle informazioni che circolano non risulta certo barattu.
Il risultato più sicuro sarà quello di aver fatto un grosso regalo al nostro immarcescibile curatore, ai proprietari delle collezioni private e ai mercanti d’arte che vivono di questi traffici travestiti da cultura (gesto che ognuno sarebbe libero di compiere con i soldi propri).
Certo resta anche la soddisfazione dei selfie col Divo.
Igino Panzino