Di nuovo una Pasqua. E anche quest’anno arriva di domenica. Ci sono poche certezze nella vita: il tramonto ad Ovest, l’altezza dei gradini, il verso di avvitamento di un bullone, la forza di gravità. E la Pasqua di domenica.
Forse dimentico qualcosa. C’è bisogno di tutto il resto, però, perché le certezze sono quei particolari di cui ci si può dimenticare, proprio in quanto ritornano sempre uguali, sempre affini, sempre gli stessi.
Il resto no.
Io questa mattina, che chiaramente non so che mattina sia, mi sveglio con la voglia e il bisogno di incertezze. Con la necessità e la smania di cose imprevedibili. E allora per prima cosa non guardo l’ora. Poi non accendo la luce e poi non mi faccio la doccia. Vediamo che succede, mi dico. Rimango seduto sul letto in attesa dell’imprevisto. Penso un po’ e capisco che se fossi stato troppo attento presagirei l’imprevedibile.
E allora mi distraggo. Attento, comunque, a non far nulla di solito.
Mi sforzo di essere disattento. Quindi perdo tempo.
Perché se non si è attenti non si è nemmeno presenti e, giocoforza, si perde tempo.
E lì, in quel preciso momento imprecisato, ho un’illuminazione: il tempo non esiste.
È una misura che si manifesta quando la si utilizza, quando la si riempie, altrimenti è il nulla. Senza scopo e senza funzione. Oltretutto non è nemmeno affidabile, come misura. Varia a seconda della “sostanza” che la riempie. E cambia ancora a seconda della qualità di quella stessa sostanza. Tipo: un’ora non ha misura se si dorme. Ne ha una precisa se si aspetta un treno. Ne ha un’altra se si fa l’amore. E allora… cosa è un’ora? Nulla, se non quello che in quell’ora si fa o non si fa.
Mi alzo in piedi, imprevedibilmente. Percorro lo spazio che passa tra la camera e la cucina. Preparo la moka. Fuori è una bella giornata di una qualche stagione a caso. Probabilmente primavera. Apro la finestra e bevo il caffè. Il calendario segna gennaio, l’orologio è fermo, io non faccio nulla. E il tempo dura fino a che il caffè finisce.
Prevedibilmente.
Come una Pasqua che cade di domenica.
Lunedì sarò pieno come un uovo.
Alessandro Galli