Giovanni C. Lorusso è nato a Sassari nel 1981. Ha una formazione universitaria in letteratura a Roma, in filosofia a Londra e in regia cinematografica alla Sydney Film School. Lorusso lavora come direttore della fotografia da quindici anni tra Oceania, Europa e Africa.
Il suo primo film da regista, Song of All Ends, ha avuto la sua prima internazionale nel 2024 all’IFFR ed é stato presentato al Bellaria Film Festival e al Festival del Cinema Africano, Asia e America Latina di Milano, dove ha ottenuto il Premio della Critica SNCCI. Il film é incentrato su una famiglia che attualmente vive nel campo profughi palestinese di Shatila a Beirut.
Lorusso é membro accreditato dell’Australian Cinematographers Society (ACS) e ha pubblicato tre libri di fotografia: The Limits of Rupture; Keep Fire Burning; VOCI.
Si presenta a Venezia con un film documentario dal titolo A MAN FALL.
SINOSSI: Sabra, in Libano, è nota a causa del massacro compiuto nel 1982 dalle Falangi libanesi e dall’esercito di Israele allo scopo di uccidere cittadini palestinesi e sciiti libanesi, lasciando oltre 3000 vittime. Qui sorge il Gaza Hospital, che dopo essere stato un ospedale dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina alla fine degli anni settanta è poi stato smantellato, divenendo un simbolo della sopravvivenza dei palestinesi, che tuttora vi trovano rifugio. Nel Gaza Building vive il protagonista di A Man Fell, l‘undicenne Arafat, che passa il tempo tra le rovine degli undici piani dell’edificio. Insieme al suo amico Muhammad pensa a come esplorare i sotterranei proibiti, dove «ci sono solo sesso, droga e morte», mentre tutti nel palazzo parlano della storia probabilmente falsa di un uomo che sarebbe caduto dal quarto piano di quello stesso edificio per motivi ignoti.
IL CONTESTO: LA CONDIZIONE PALESTINESE IN LIBANO
I cittadini palestinesi residenti in Libano comprendono i rifugiati fuggiti durante la Nakba del 1948, i loro discendenti, le milizie che risiedevano in Libano negli anni ’70 e ’80 e coloro che si sono trasferiti da paesi confinanti, come la Siria. L’UNRWA (Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l’occupazione) ha contato 475.075 rifugiati palestinesi registrati (dato 31 dicembre 2019). La maggior parte dei palestinesi in Libano non ha la cittadinanza e di conseguenza carta d’identità libanese, la quale darebbe loro accesso a servizi quali la sanità e l’istruzione. Inoltre, la legge impedisce loro di possedere proprietà o di accedere a un elenco di occupazioni desiderabili.
Molti osservatori accusano il Libano di praticare apartheid contro gli arabi palestinesi che vivono in Libano come apolidi dal 1948 come evidenziato dal giornalista arabo israeliano. (Khaled Abu Toameh)
SULL’ESTETICA DEL FILM
L’ex Gaza Hospital è un luogo in cui la luce si perde tra le mura e nulla riesce a riflettersi. Come una spugna, le ombre assorbono tutto lasciando solo brevi e nitidi spazi di luminosità. All’interno di questi spazi sono confinate le vite degli abitanti dell’edificio: un movimento ininterrotto tra isole di luminosità. Solo a partire dal quinto piano è ammessa la luce naturale, mentre più in basso è necessaria una luce autonoma per attraversare le scale e i corridoi dell’edificio a qualsiasi ora del giorno.
Al calar del sole tutto è abbandonato al buio più completo, fatta eccezione per i pochi appartamenti in grado di collegarsi direttamente – anche se solo temporaneamente – a un generatore esterno. A quel punto quelle isole di luce diventano ancora più rare, più separate, appunto più isolate. E le ombre si impadroniscono completamente dell’aria, finché le cinque moschee che circondano l’edificio introducono ritmicamente l’arrivo di un nuovo giorno.
Ho deciso di insistere su un ulteriore elemento simbolico importante nell’estetica del film: le finestre dell’edificio. Le finestre in questo spazio diventano una fonte inevitabile di riflessione verso un “altro mondo” da cui gli abitanti sono esclusi. Esse sono l’unica fonte di luce per sfuggire a una vita altrimenti definita dall’oscurità.
Poiché l’interno e l’esterno del campo sono due mondi distinti e separati, la cornice di quelle finestre diventa uno schermo su cui si proietta l’irraggiungibile, un punto di vista più alto dove solo l’immaginazione può sfogarsi.
É stato allora fondamentale che nessun elemento del mondo esterno fosse mai chiaramente visibile, così come l’edificio stesso, visto dall’altra parte del campo.
Costantino Idini