Devo chiamarti Giovanni o Giuseppe?

Giuseppe. Tutti mi chiamano così.

Giuseppe Pintore è un ragazzo di 22 anni, sassarese figlio di sassaresi. Ma a tornare indietro, un po’ come tanti, si scopre la sua anima accudidda. Mi ascolta lentamente, abbozza un sorriso, sembra che da ogni cosa che lo circonda tragga ispirazione. Giuseppe ha scritto un libro, un testo di fantasy che fa già parte della storia degli scrittori locali, anche se il locale gli sta stretto. Perché hai deciso di scrivere fantasy?

Ho scritto un libro che prima non c’era. In giro non c’è il fantasy che cerco. Pur apprezzando e leggendo tanti autori di fantasy non ho mai trovato edito il libro perfetto. I veri scrittori fantasy sono su internet, bisogna scovarli. Storie complicate e perfette, quelli sì che sono toghi.

Ma  ti rendi conto di aver scritto più di 500 pagine, ed è solo l’inizio?

Io ci provo. Penso che sia una ricerca stilistica continua, non soltanto nei temi e nella costruzione dei personaggi, ma anche dei termini da utilizzare.

Mi fai un esempio?

Nel prologo delle Ombre del Destino scrivo: “Non più soldati sul campo di battaglia, solo cumuli di cenere e petali d’ombra”. Ecco, l’espressione “petali d’ombra” non contiene soltanto un lirismo intrinseco ma ha una connotazione ben precisa che più avanti nel libro verrà svelata.

E cosa succede?

Leggi il libro e lo saprai…

Tutto qui? Posso provocarti? A noi di Sassari City piace rompere…

A me piace rompere i cliché, mi piace che la gente pensi una cosa e poi trovi tante sorprese disseminate nella mia narrazione, un po’ come dovrebbe essere la vita. Io odio i personaggi stereotipati, ma li descrivo così proprio perché c’è un senso nella narrazione. E lo scoprirai leggendo il libro…

Una trappola?

Una trappola letteraria ma a mio avviso molto… appagante.

Molti dicono che gli scrittori sardi sono malfatati. Ti definisci tale?

Sardo o malfatato?

Entrambi, ovviamente.

Io credo che ogni uomo in un certo senso sia autodistruttivo, guarda cosa stiamo facendo al pianeta dove abitiamo. Ma allo stesso tempo credo che un buon scrittore abbia un messaggio universale che va ben oltre la sua terra di appartenenza. Il fantasy, in questo caso, ci aiuta a continuare a sognare, a pensare che ci sia qualcosa di possibile e magico che renda tutto possibile. La cosa più forte che abbiamo è immaginare e a me piacerebbe che il lettore pensasse, mentre scorre gli occhi sul libro, di averlo scritto lui, di scriverlo in diretta. In certi passi la sensazione è proprio quella.

Ma quanto c’è della Sardegna nel tuo testo?

Intanto devo dire che questo è solo il primo volume di una lunga storia…

Una trilogia?

No, basta con le trilogie! Ormai chiunque scriva un libro un po’ lungo lo divide in tre. Non so quanti saranno i miei, ma in uno c’è un episodio dove il cavaliere cucina il pane carasau. Mi piace molto la dimensione del rito che i nostri avi possedevano e che forse stiamo perdendo. Ho voluto fare un omaggio alla mia terra. E poi chi l’ha detto che un cavaliere non può mangiare

Non sarò certamente io a contraddirti, tranquillo. Come definiresti il tuo stile personale?

Cinematografico, senza dubbio! Se leggi le mie righe quei posti, quei personaggi, li vedi. Mi piace quando a qualcuno è piaciuto il libro e appunto mi dice che ha visto quelle scene, nei dettagli, intendo.

Non sarà solo uno stile descrittivo? O speri che un giorno dal tuo libro venga girato un film?

Magari, ma non è certamente per questo che l’ho scritto.

Sai, è strano che uno scrittore fantasy venga da Sassari, suona un po’ insolito.

Vero, lo capisco, perché Sassari ha delle grandi possibilità ma qui si agisce poco. Tutti ti invidiano ma anziché fare anche loro perdono tempo a parlare degli altri. La gente si occupa più dell’altra gente che di sè, e questa è un’attività inutile.

Dove ti vedi tra dieci anni?

Non so se resterò a Sassari. Qui se vesti da personaggio dei fumetti  ti guardano strano e pensano che sei impazzito. Se invece lo fai a Londra ti guardano con curiosità e cercano di leggere sotto la superficie, non vedono la follia, cercano le ragioni che ti hanno portato anche semplicemente a metterti un calzino colorato.

Con un grande in bocca al lupo per la carriera di Giuseppe Pintore, lo salutiamo. Lui orride schivo, prudente, conscio di averci regalato qualcosa di sè ma anche di aver acquistato una nuova esperienza. A breve, nello spazio libri, pubblicheremo una spietata critica al testo. Ma vi annuncio che questo è un testo che piace anche a chi non ama il genere. Chi scrive lo sta divorando, dopo averlo iniziato senza avere tantissimo tempo a disposizione, ed ora trovando ogni minuto per arrivare alla fine.

Luca Losito

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