La libertà esiste solo nel regno dei sogni
e la bellezza fiorisce solo nel canto.

Friedrich Schiller

 

Incontrarsi previo appuntamento a Sassari, lo so bene, può rivelarsi più complicato che incrociarsi per caso a Tokyo. È che ci si dimentica di tutto con un’immediatezza che ha del prodigioso e la gente, come gli appuntamenti, la perdi di vista con la leggerezza propria delle città dalle quali sempre si va via. Oggi o domani o dopodomani, di continuo a Sassari c’è qualcuno che il giorno prima ciondolava tra piazza Tola e via Roma e il giorno dopo è su un volo di sola andata per Londra o Sydney. A Sassari è così: si sparisce facilmente. Non con altrettanta facilità, invece, si può riapparire.

Allorché la cantante e attrice Alessia Desogus mi ricompare, sono su un treno Roma-Torino e non ricordo esattamente da quale angolo di youtube abbia sentito per primo arrivarmi la sua voce. Ricordo che la canzone era Tiempo y Silencio e, soprattutto, che la sua voce aveva i colori perfetti per quel momento. Canticchiandola, in verità non ho badato molto alle foto che scorrevano nel video finché, da dietro un cappello a cilindro nero, non sbuca fuori uno sguardo inconfondibile, che mi fa sussultare. È proprio lei, la mia amica Alessia che non vedo da quando, bocciati entrambi in matematica, passavamo le estati chiusi in casa a sudare e a studiare cose che poi, nel futuro, ovvero nel presente, ci sono servite per farcene ognuno le proprie ragioni. Trovata per caso la prima canzone, mi affretto a sentire tutto il resto.

Scopro che adesso vive a Granada e che è appena uscito il suo primo album Casi en blanco y negro. Dalla copertina il suo viso fa capolino, come all’inizio la sua voce, facendo quasi cucù, come i bambini quando prima si coprono la faccia con le mani e poi la mostrano con dei gran sorrisi: lei ne sfoggia uno che levati. E questo senso del gioco, questa leggerezza capace di farsi, a tratti, quasi candore, è uno degli aspetti che più apprezzo della sua voce, e della sua persona. Lo sguardo un po’ alle sue pose da divina, un po’ al paesaggio che scorre fuori dal finestrino, prima mi gusto una versione che direi soffice di Green Grass, poi scivolo in una sensuale (ma sempre per gioco) Con una rosa. Infine mi godo un’elegantissima Un año de amor, cantata con la limpidezza vocale perfetta per togliere molto del barocco che, su questa canzone, si è (giustamente!) depositato col tempo. Sento la stessa nitidezza ascoltando due classici come J’ai deux amours e Summertime e ho la sensazione che anziché vestire le canzoni, questa voce le sappia spogliare. Giocando, appunto.

Qualche settimana dopo, sul volo Torino-Alghero, sono felice di avere un prossimo appuntamento con lei, anche se, essendo entrambi autoctoni, non è detto fino all’ultimo che ci si riesca a vedere sul serio. Io, mi dico in fase di atterraggio, ci sarò di sicuro.

Bella come il sole al quale rinunciavamo ai tempi della scuola, arriva all’appuntamento spaccando il minuto, ricordandomi che anche lei è una alla quale va stretto ogni stereotipo. Siamo entrambi più puntuali di due svizzeri e entrambi beviamo più caffè di quattro napoletani insieme. In quanto a baci e abbracci che ci scambiamo, invece, potremmo competere con intere frotte di sudamericani, e tra i più calorosi. Ci piace mescolare i generi, da sempre.

Un filo di trucco e un filo di tacco come le donne impeccabili di una volta, di bianco vestita come poche se lo potrebbero permettere, mi parla e mi sorride con la stessa autenticità con la quale non mi nasconde certi sguardi malinconici che la attraversano, certe nostalgie che mi sussurra, certe fatiche che mi accenna. La sua franchezza ha mantenuto un che di svampito e di fanciullesco, che me l’ha sempre fatta amare molto.Intanto che l’ascolto amandola di nuovo, lei mi racconta di come sia arrivata a Granada, passando da Parigi, e di come la sua capacità di stare su un palco come se vi fosse nata, l’abbia appresa soprattutto alla scuola francese del maestro Philippe Gaulier: “Gli sono davvero grata”, mi racconta, “di avermi maltrattato a dovere. Non mi ha insegnato solo a stare su un palco. Mi ha insegnato a stare con me stessa.

Parliamo a lungo soprattutto di The Whore, l’inedito dell’album, e mi racconta di come, per scriverlo, abbia dovuto lavorare a lungo sul genere inteso come marchio, come stereotipo, come incisione. Lei ha voluto incidere il suo punto di vista, la sua esperienza di donna, prima ancora che di cantante e di attrice. Tuttavia in lei le cose mi sembrano collimare alla perfezione, tant’è che la sua voce sa raccontare anche, e forse soprattutto, questo, che la donna alla quale appartiene è prima di tutto un’artista di gran pasta. E deve essere per forza così se adesso, appena tornato a Torino, la prima cosa che metto è di nuovo il suo CD. Lo riascolto tutto e la sua voce profuma di Mediterraneo con la stessa intensità della prima volta. E mi fa sentire a casa ovunque mi trovi.

Pier Angelo Sanna

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