Avevo detto a mia madre che andavo a studiare a Calangianus dai miei amici.
Le avevo detto che avevamo perfezionato un metodo infallibile per studiare: dormire di giorno e studiare di notte. Così non avremmo avuto distrazioni.
Di fatto dal pomeriggio inizavamo con le birre e tiravamo avanti per un pò di ore. Poi il sonno veniva e ci avvolgeva per tutta la notte e buona parte della mattina. Per studiare non restavano che poche ore di emicrania.
Qualcuno, ma sospetto fosse Giuliano, sosteneva che ascoltare la registrazione della propria voce che legge interi capitoli aiuta a memorizzare le materie d’esame. Una volta provai, mi trovò mia madre che dormivo alla grossa, con le cuffie innestate. Va da sè che non ricordavo una mazza, tanto valeva leggere.
Fu così che passammo le settimane prima dell’esame.
Si è stupidi a 18 anni. Si è talmente stupidi da fregarsene di veder la giovinezza passare come un lampo e non riuscire a trattenerne manco un bagliore.
Ma non si può essere seri a 17 anni, cantava Rimbaud. Manco a 18, se è per quello.
Poi arrivò d’improvviso il giorno fatidico.
Il giorno prima, anzi.
Ci ritrovammo da qualche parte. I ricordi sono annebbiati.
Iniziammo con le birre, come al solito. Per tutto il pomeriggio, per l’intero pomeriggio.
Le birre aiutavano ad allontanare l’ignoto dell’esame, la perdita dell’innocenza. Parlavamo e ridevamo sull’orlo dell’abisso.
L’indomani le tracce.
Non c’era internet, non c’erano quotazioni sui temi più probabili. C’eravamo noi e la nostra giovinezza. C’erano le nostre risate e la consapevolezza che ci saremmo persi. Ma nessuno ne parlava. Tutti avevamo ipotesi di futuro, pochi le strade tracciate, la maggior parte la grandezza dell’ignoto.
La birra amplificava le sensazioni e diluiva la tensione.
Poi venne notte e rimanemmo in pochi.
Attratti da una calamita finimmo in un Night Club ai piedi di Monti Pinu. Aperta campagna. Macchine parcheggiate. Ambiente sordido. E noi dentro l’abitacolo a sognare la figa. Risate, qualcuno fumava. Avrebbe rovinato l’amicizia una bruciatura di sigaretta nella tapezzeria di una Clio verde. Non fumavo, io. Ridevo, attratto dall’immensità di quel buio. Attratto dalle voci che venivano da dentro le macchine. Uomini soli, cavatori di granito per lo più. Zeppi di soldi mal guadagnati al prezzo della silicosi.
Poi si accese la luce. Ci immaginavamo una sfilata di Miss. La migliore aveva belle gambe. Belle? Si, quella di legno.
Eravamo attratti dal mondo in disfacimento. Vedevamo gli avventori approcciarsi alle donne dell’est incattivite dalle dittature del proletariato. Appena libere divennero schiave. Perchè è sempre così che succede.
Noi assiStevamo a quegli approcci meccanici immaginandoci gli spoglierelli, immaginandoci il Crazy Horses a Monti Pinu. Si è Stupidi a 18 anni, ma lo si ignora. Ed è bello essere così, senza un briciolo di coscienza.
Ordinammo le birre. Birra Moretti, in lattina. Calda.
Warm beer and cold woman. Birra calda e donne di ghiaccio.
10mila lire la lattina. Con 10mila lire ci facevi tutto un sabato, a saperti gestire.
Facemmo alla romana: ognuno si pagò la sua. Non avevamo denaro per sbrufonaggini.
Non si ha mai soldi a 18 anni. E non è questione di stupidità E’ questione di educazione di genitori che si fanno un mazzo per camparti.
L’aria era satura di fumo e di organi genitali in fiamme.
L’odore di palle sudate superava l’olezzo delle cozze del porto di Olbia.
Noi lì, piegati in due dalle risate nel vedere come uomini attempati cingevano durante il Tico Tico le procaci signore dell’est.
Eravamo al cinema e non si pagava il prezzo del biglietto.
Pagammo le birre, peggio di un’estorsione.
Passavano le ore e si avvicinava l’esame. Noi continuavamo a danzare sull’orlo guasto della notte.
Uomini battevano i pugni sul bancone. Dita grosse, da manovale della malta.
Donne col trucco che si scioglieva sotto le luci delle intermittenze.
Ragazzi che nel giro di quattro ore si sarebbero ritrovati nel corridoio del vecchio Convento degli Scolopi. A scrivere. Di cosa non lo immaginavamo.
Poi vedemmo un uomo zoppicare. Nei fumi alcolici immaginammo che fosse Killo Bove, l’odiato professore di matematica.
Killo Bove disegnato da Fabio e Giuliano su tutti i libri della classe, col sacchetto del pane sotto le ascelle e un cazzone gigante. La radice quadrata della straminchia.
Non ricordo dove ho dormito le poche ore di sonno rimaste nella notte prima degli esami.
Ricordo solo che ci ritrovammo in quel corridoio freddo e che fui scelto per aprire le buste che contenevano i temi.
Dopo ricordo che continuammo a ridere per ore senza scrivere una riga.
Poi a mezzogiorno, sull’orlo del fallimento, iniziai a scrivere. Scelsi la traccia storica. Il nazismo. Sembrava che le parole sgorgassero dalle cosce del meretricio mondiale. Si dipanava la matassa di un anno di studio. Dei libri letti, delle storie sentite.
E forse è per questo che continuo a sognare, atterrito, il mio esame di Maturità. E mi sveglio sudato e ansimante.
Emiliano Deiana