Narcisa Monni tace. Ha già regalato troppi pezzi allo spettatore curioso e che torce un po’ il naso. Forse perché Sassari non è pronta. O forse perché i quadri sono inseriti in un contesto celebrativo e troppo festoso che contrasta con gli oggetti e gli scorci rappresentati. O ancora, forse, tutto è voluto e l’allestimento doveva essere proprio così.
Vengono in mente le parole di Marina Cvetaeva, quando dice che l’amore è carne, un fiore che innaffiamo col sangue, non è una conversazione a tavolino, un’oretta e poi a casa. Senza riuscire a trovare il senso del tragico tra caffettiere e bigodini con tutta la tragedia al di là della porta.
Narcisa Monni tace. Preferisce far parlare il curatore della mostra, che è Davide Mariani, che non tace.
Ma neanche cede alle provocazioni. Pieces Of Me, Je Ne Regrette Rien, per l’esattezza. Ma perché – gli chiediamo – come se l’arte dovesse o potesse avere un perché universale. Qual è il senso di tutto?
Prima c’ero IO, ora c’è il MIO, ma poi anche Davide si lega al silenzio dell’artista. Nelle opere della Monni c’è un attacco alla tela che non è una tela, è atto fatto di violenza e di rapidità del gesto, con tinte lasciate poi colare verticalmente come un pianto di pioggia colorata che però non copre l’opera, la completa.
Non è tela, la tela, spesso è alluminio sul quale appunto colano acrilici e pitture meno volatili ma sempre dense come denso e pregnante può essere il quotidiano. Ecco perché non storciamo il naso e sorridiamo con un senso di inquietudine al bagno di servizio, alla lavatrice, ai fili da stendere.
Con l’artista che per una volta non tace ma neanche urla, anzi sussurra, la sua verità: je ne regrette rien.
Luca Losito