A spettacolo terminato il pubblico è diviso: da una parte c’è il mito, dall’altra gli infastiditi.
Secondo noi un difetto evidente dello spettacolo AQUILONI nasce dalla sua stessa forza. In scena è il grande Paolo Poli che dalle prime battute offre ai compagni di palco il registro stilistico, la natura espressiva, la qualità stessa dello spettacolo.
Gli altri seguono a ruota. la domanda è questa: O Paolo Poli sul palco del teatro comunale di Sassari era stanco morto o, (se questo è lo spettacolo), dopo la prima ora è difficile continuare a seguire quel fiume di poetica del Pascoli che perde anche la sua stessa sostanza lirica.
Tutto è apparso manieristico, accennato, sospeso… ma senza la gioia e la spontaneità del naif.
Peccato. Sarà che il teatro non dovrebbe essere una semplice celebrazione di un’antologia delle opere memorabili del passato né una contemplazione di una dizione perfetta e costumi sgargianti. E non basta più vestire cinque uomini da donna per suggestionare ed emozionare.
Se questo fosse un modo per raccontare Pascoli nelle scuole sarebbe assolutamente antididattico.
Perché senza attualizzazione, senza scarti, solo il puro elogio della ritmica nell’incessante recitar versi, non ha convinto proprio tutti.
Certamente sulla scena c’erano tutti i registri che hanno reso Paolo Poli quel grande del teatro italiano che tutti conosciamo e ammiriamo.
Ma al di là di qualche sussurro di attempate signore che ripetevano quei versi ai quali una volta la propria memoria fu scolasticamente obbligata, non c’è stata vita, la pagina è rimasta orizzontale, poco racconto, pochissima storia, nessuna drammaturgia. Un recital? Allora è durato troppo.
C’erano gli artisti. C’era la musica. C’era la poesia. Teatralità, certo, ma non teatro.
E troviamo ipocrita l’affermazione di critici di alto credito quando affermano che l’eterno fanciullino Poli può permettersi tutto.
A renderlo gradevole non è bastato il contorno delle magnifiche scene dell’intramontabile Lele Luzzati. Lui sì, oltre il tempo.
Luca Losito