Sassari è una cartolina sbiadita che non è mai stata affrancata, un viaggio di sola andata per un luogo della memoria al quale non ci siamo mai disaffezionati.
Sassari è zimino e ciogga, faba e ingiugliu, impiccababbu e pizzinni pizzoni.
Sassari è la Torrese, con le sue gioie ed i suoi fallimenti, il castello e le mura abbattute, gli orti estinti di Predda Niedda.
Sassari è così, fatalmente decaduta che non puoi che amarla, per poi difenderla dagli squarci infertigli da una classe negligente di amministratori e dai suoi cittadini che, pavidamente, osservano la sua Storia annegare tra i flutti del’inerzia.
Sassari è un seducente dipinto mai terminato, una perduta voce resa roca dal vento, un bocciolo marcito.
L’ultima volta che provai amarezza per la mia città fu il giorno che me ne riappropriai, girovagando tra i maleodoranti budelli del suo cuore, distillandone l’amara linfa delle origini, ciò che accomuna ogni essere vivente alla propria terra natia.
Sassari è il misero brodo dal quale attingiamo ricordi e fantasie, è l’umile paiolo che mesciamo in attesa della rinascita, certi che quel giorno, finalmente, giungerà.
Sassari mima il caos della rassegnazione, l’umiliazione di un vecchio viandante prono sui suoi anni, fiacco persino nell’elemosinare l’ennesima questua.
Casca e ricasca, corre, avanza, inciampa.
Quella bimba in bianco e nero così se ne stava accucciata tra i seni pallidi della nutrice a suggerne seducente creatività, forte di carattere e larga di fianchi: gotica sorgeva la sua Cattedrale, ad impartire la propria geometrica perfezione all’imperfezione dell’abbandono.
Stordita dall’attacco proditorio delle erbacce giaceva sotto al Rosello la figlia della memoria, inebriata dal canto perduto delle giovani lavandaie, in attesa del tardivo legittimo riconoscimento del suo richiamo di soccorso.
Alta s’udiva al vespro la fanfara del centocinquesimo, così come le voci possenti dei commercianti al mercato o gli schiamazzi dei laureati con lode.
Sassari soleva riflettersi nei fatui colori della nostalgia, logora delle feste in costume della sua asfittica nobiltà, melliflua e tenace, alla costante ricerca di una nuova e definitiva rinascita.
Quello sarebbe stato il luogo che avrebbe custodito in eterno la sua anima da poetessa di strada, custode e serva delle nostre vite maledette, l’eterna sfida tra il dolore della perdita e l’imbarazzo per la riconquista.
Sassari.

Andrea Deiana

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