Il nostro direttore mi domanda di occuparmi di una cosa della quale apparentemente mi frega poco. Anzi proprio niente.
Mi racconta una storia in un momento molto delicato della mia vita.
Ho una nuova amica a casa e vorrei dedicarmi a lei.
E invece…
Ma dico io… perché dovrebbe importarmi che in Ziddai verrà aperto un nuovo casinò dove persone (forti o deboli che siano) si rovineranno? COSA ME NE FOTTE?
Il problema, mi informano, è che Sassari è una città ad altissimo rischio sociale, con ludopatici cronici sempre in crescita.
Non è un caso se quello che si chiama SERT oggi si chiama SERD. Da TOSSICODIPENDENZE a DIPENDENZE.
Il gioco d’azzardo è una DIPENDENZA serissima, partiamo da questa certezza.
Va bene.
Lauren, cara… aspetta un attimo.
In questi giorni il mondo di facebook è insorto violentemente contro alcuni sassaresi che, in assoluta legalità, hanno trasformato un vecchio spazio, (precedentemente occupato da un fallimento), in una futura attività redditizia. Senza contare l’indotto, questa iniziativa potrebbe fruttare un’abbondante fetta dei 75 milioni di euro che rappresentano il fatturato, sempre che addirittura non riescano ad implementarlo.
Dov’è il problema? Che i titolari della ditta hanno una parentela diretta con politici che appartengono allo stesso gruppo che ha palesato con documento ufficiale UNA ESPLITICA OPPOSIZIONE al proliferare delle macchinette mangiasoldi.
Una sorta di contraddizione tra generazioni, insomma…
Da qui la richiesta, principalmente all’ex assessore Stefano Perrone, di prendere posizione contro questo fatto.
Gli si chiede di andare contro i figli, di dimettersi da consigliere, oppure da padre, oppure dalla storia. Io non capisco!
Ora, certamente le ludopatie rappresentano un problema sociale, e in una città di provincia ancor più chi le difende e/o si attiene alla legge dovrebbe certamente prendere posizione. Ma Stefano Perrone l’ha presa! In buona sostanza ha detto che non può certamente rispondere delle scelte di adulti che, per quanto portino il suo cognome, sono soggetti giuridici indipendenti dalla sua volontà. Questo crea un problema personale del quale in realtà nessuno dovrebbe occuparsi.
La sottile ma percettibile relazione tra legalità e moralità è stata espressa con grande chiarezza dalla collega Daniela Scano sul quotidiano locale. In sintesi la cronista dice che, copio e incollo dal pezzo, pubblicato sulla Nuova Sardegna on line:
“Chi sceglie di avere un ruolo istituzionale non può fare spallucce di fronte a plateali smentite con i fatti, da parte delle persone a lui più vicine, di ciò che è stato detto con le parole”.
E a questo punto non posso che darle ragione e mi permetto di calcare la penna, affermando duramente che non prendere posizione in direzione della moralità rappresenta un esercizio dubbio della propria etica. Così come andare in direzione opposta alla morale sarebbe vergognoso, schifoso e infamante per chi esercita (o ha esercitato) una funzione pubblica. Cosa che peraltro Stefano Perrone non ha fatto. Egli non ha difeso neanche i propri figli. Ha semplicemente detto: non mi interessa cosa fanno delle persone adulte, per quanto frutto dei miei lombi.
E invece, forse, dovrebbe preoccuparsene, ma questa resta solo un’opinione di chi scrive. Merda nella polvere. Non spetta a noi educare i figli altrui o urlare contro Lalla Careddu che dovrebbe farsi i fatti suoi. Anche perché lei se li fa, specialmente quando sono FATTI DI TUTTI.
In buona sostanza, passo dopo passo, facciamo un’ipotesi molto azzardata:
Io firmo, da amministratore, una legge contro la prostituzione.
Mia figlia diventa una prostituta.
Io affermo che non mi interessa cosa fa mia figlia.
Questi tre passaggi sono ovviamente esagerati e qui utilizzati a puro titolo esemplificativo.
Ma la verità è che nessuna legge mi obbliga ad essere coerente con la mia morale.
La mia etica è MIA, ASSOLUTAMENTE MIA! Guai a chi me la tocca. Ha ragione Perrone.
Nessuna legge è stata infranta e lui non deve alcuna giustificazione a terzi.
C’è addirittura qualcosa che va contro i nostri stessi discorsi; infatti a Sassari quella di via Vardabasso non è certo la prima né l’unica sala slot in città, ce ne sono gestite da cinesi, extracomunitari di dubbia provenienza, comunitari, comunitardi, savoiardi, figli dei savoia e figliori di doppia troia pregiudicati.
Perché, dunque, ce la prendiamo con Stefano Perrone, che tra l’altro non ha speso un solo euro per finanziare questo palazzo della perdizione e dissoluzione al gioco d’azzardo, con ristorante annesso che darà anche lavoro – sempre legalmente – a una ventina di persone?
Azzardiamo una risposta: Perché possiamo parlargli. Perché sappiamo che può leggerci e dialogare con noi.
Perché non è cinese, non è pregiudicato, non è figlio dei Savoia ma figlio caro a questa città che ha amministrato con benevolenza.
Non vogliamo che egli chiuda o che i suoi figli smettano di fare gli imprenditori. Vorremmo che si mettesse una mano sulla coscienza. Se avesse aperto
UN RISTORANTE ANCHE CON UN SALA DEDICATA ALLE SLOT
anziché
UNA SALA SLOT DOVE C’E’ ANCHE IL RISTORANTE
forse le urla dei sassaresi sarebbero state più pacate.
Davvero troppo facile sapere con chi prendersela e permettersi di sparare a zero.
Sia chiaro, questo articolo non ce l’ha con chi ha fatto, chi non ha fatto, chi avrebbe dovuto.
Legalmente siamo TUTTI inattaccabili.
Ma forse tutti siamo partiti col piede sbagliato. L’approccio alla materia è sempre delicato e bisogna saper leggere tra le righe.
E soprattutto, io vivo a New York, mica a Las Vegas, cosa cazzu m’innaffutti a me?
Con simpatia…
Fletch