Gene Gnocchi è un mio maestro. Lavorando con lui nei primi anni della carriera ho imparato una marea di cose. Ancora oggi qualcuno, di tanto, mi chiede se gli scriva i testi, perché somigliano ai miei. Ma sono io che ho un po’ del suo stile, non viceversa.
Quando ho letto della battuta sulla Petacci confesso di aver provato disagio. Come scrive oggi Mattia Feltri sulla Stampa, almeno i morti bisogna lasciarli stare. In teoria. Perché io le battute sui morti stronzi le faccio eccome. Trattasi dell’antico e fondamentale “parlandone da vivo”. Se sei politicamente corretto, devi fare un altro mestiere.
Però accostare una persona passata per le armi (e senza le responsabilità del suo triste compagno) a un maiale confina con l’irrisione. Non va bene. La satira è satira però deve essere leale. Colpire chi è potente o chi lo è stato. Rispettare un principio di verità. Questo pensavo finché non ho visto il pezzo incriminato e mi fidavo di quel che leggevo.
Poi ho cambiato idea.
Un comico non dovrebbe mai spiegare le battute. E Gene non l’ha fatto.
Allora la spiego io. La battuta NON È sul fatto che Claretta Petacci sia un maiale. La battuta è sul fatto che quel maiale è di Giorgia Meloni e dunque le ha dato un nome nostalgico. È come dire che il cane di Pietro Grasso si chiama Lenin.
Il confine tra satira e vilipendio di cadavere non è stato superato e state facendo un can can indicibile sul niente.
Questo nella mia modesta opinione.
Un saluto cordiale.
Luca Bottura