Mi permetto di pubblicare qualche riga che non riguarda direttamente Sassari ma che, da direttore di un giornale ancora libero, mi sento in dovere morale di scrivere. Nel mio egotismo, e forse sbaglio, sogno che un giorno miei nipoti mi chiederanno cosa feci, scrissi o dissi in questa occasione; ed eccoci qui.
Ieri per i giornalisti, soprattutto europei, è stato un nuovo 11 settembre. La colpa, se di colpa si può parlare, è dell’uso strumentale e discutibile della foto del cadavere del piccolo profugo siriano Aylan, pubblicata da tanti e, ad esempio, sul quotidiano italiano Il Manifesto, con la didascalia NIENTE ASILO.
Per strumentale intendo l’utilizzo fatto non per un preciso ed immediato scopo, (quello di informare su una tragedia umana), ma per un secondo fine (vendere più copie) e/o per un interesse non dichiarato. Le foto a disposizione erano tante, molti hanno preferito concentrare il focus sul soccorritore, dove del bambino si scorgevano solo i piedini. Personalmente ho apprezzato.
Da quel momento è stato troppo facile spostare l’attenzione sull’indubbio dramma dei migranti, sul giornalismo storico e quello becero, su altre questioni meno importanti. Ma oggi, ieri, all’indomani dell’ennesimo naufragio, si parla semplicemente e amaramente di scelte. Di UNA scelta, quella che liberamente hanno fatto anche tanti su facebook, salvando e ripostando quella foto. Tra le peggiori, senza dubbio, proprio la scelta del Manifesto, con quel gioco di parole che fa inorridire. Molti pensano che da questa sensazione di orrido possa nascere una nuova coscienza. Io no, non lo penso affatto, con i recenti studi socioantropologici che dimostrano un uso dei social sempre meno consapevole, superficiale, e che appiattisce il pensiero alto.
Nella mia vita ho visto tanti reportage di guerra, ho grossi libri di scatti epocali della Magnum, della Associated Press, e consiglio a chi vuol fare fotogiornalismo di sfogliare, lentamente, quella meravigliosa e drammatica raccolta di scatti di David e Peter Turnley che ha per titolo FOTOGRAFIE IN TEMPO DI GUERRA E DI PACE, o ancora la raccolta curata da Hal Buell e intitolata MOMENTS, delle foto vincitrici del premio Pulitzer. Queste foto hanno spazio nelle mostre, nei settimanali d’opinione, nelle raccolte etc.
Ricordo in particolare una mostra sulle donne sfigurate dall’acido a Barcellona, non pubblicherei in cronaca neanche una di quelle foto. Quelle foto hanno vinto molti premi, sia chiaro, e scuotono quotidianamente le coscienze, ancora oggi a distanza di anni.
Ricordo che per noi giornalisti italiani esiste un codice deontologico, una Carta di Treviso che tutela i minori e una Carta di Roma sui diritti dei migranti. Se oggi siamo arrivati a questo cosa sarà lecito pubblicare domani?
Ieri per tanti giornalisti è stato un giorno storico. Siamo divisi in due. Uniti non siamo mai stati. Del resto LE IENE fanno GIORNALISMO D’INCHIESTA e SPOT PUBBLICITARI e pochi si indignano o mettono in discussione la loro credibilità.
Sassari City non fa cronaca ma resta dalla parte dei codici, noi stiamo con Pulitzer e con un giornalismo che racconti, non spettacolarizzi. Sono convinto che questa pubblicazione andava evitata e che abbia tracciato un solco profondo. Da oggi ciò che vedo oltre quel solco mi fa paura, un po’ come certi atteggiamenti che leggo nei commenti sui social network. Buon giornalismo ai Giornalisti autentici. Spero proprio, di cuore, che queste mie parole, queste sì, scuotano qualche coscienza.
Luca Losito
P.S. Per dovere di cronaca, la foto che accompagna questo pezzo è tra le foto più discusse tra quelle vincitrici del premio Joseph Pulitzer. Fu scattata a Boston il 22 luglio 1975 da Stanley Forman. Il reporter ascoltava le frequenze radio della polizia e seppe di un incendio in periferia. Giunto sul posto si arrampicò sul camion dei vigili del fuoco e cominciò a fare cronaca, quando improvvisamente il balcone anticendio crollò di fronte ai suoi occhi. Fece solo clic, più volte. E l’anno dopo, nel 1976, per quello scatto vinse il Pulitzer.